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sergiosessini

Innalzare l'alchimia del momento



Una delle prime scioccanti verifiche che mi è capitato di fare dopo aver incontrato la mia scuola, è stata scoprire che fino ad allora mi ero abituato a vivere in un ambiente estremamente povero di impressioni, di bellezza.

Intendiamoci, non vivevo in una caverna, coperto di pelli. Visitavo musei, leggevo molto, ascoltavo musica classica, andavo a teatro, avevo una vita culturale che molti avrebbero definito ricca.

Quello che mi mancava era una costante ricerca di un livello di bellezza che mi accompagnasse sempre e ovunque.

Ricordo, qualche mese dopo aver incontrato la scuola, di essermi seduto per un caffè a un bar dove andavo solitamente quando passavo da quelle parti. Ero solo. Improvvisamente mi accadde di uscire dal solito vortice dei tanti piccoli io che mi avvolgevano come una sciarpa, e vidi. Vidi il colore scuro delle pareti, la musica troppo alta, i mobili mal combinati, il rumore, un certo clima di sciatteria. “Questo posto non mi piace per nulla”, pensai.

Ma allora, perché ci andavo? Cosa mi portava a scegliere un locale che non mi piace? Da lì cominciò un piccolo percorso di comprensioni e cambio di atteggiamenti.

"Preso da mille preoccupazioni, sono del tutto cieco all’ambiente. Un bell’ambiente mi rende più felice," pensai ancora. "Essere più felice in una simile circostanza mi rilassa. E questa calma mi rende più propenso a uno stato di presenza." Qualsiasi cosa intendessi allora per ‘bell’ambiente’, idea che contiene in sé una gran parte di soggettività, ma non intendo qui toccare questo punto.

"Non ricerco locali che mi piacciono, per un numero di ragioni", conclusi:

- Li associo a un prezzo alto dei prodotti, anche quando non è così

- Mi sono abituato ad associare oggetti e materiali preziosi con un atteggiamento edonista e sprecone, un vizio da ricchi.

- Sono stato educato nella mia famiglia ad apprezzare soprattutto il livello funzionale delle cose, non la loro piacevolezza all’occhio. (Ricordo innumerevoli episodi in cui mio padre ripara un oggetto, monta una mensola, con un risultato funzionalmente efficiente, tuttavia sgradevole alla vista, con buchi visibili, colori discosti e via dicendo; e né lui né io ne eravamo disturbati). Un cavatappi è un cavatappi. Deve funzionare e basta. Che importa il suo aspetto? Alle pareti si usa mettere qualche quadro. Mettiamone qualcuno, dunque, senza spendere mesi nel cercare qualcosa di perfettamente consono ai miei gusti, e senza spendere un patrimonio. Nel momento della scelta del quadro è possibile essere distratti, così lontani da uno stato di presenza da acquistare qualcosa che in fondo non ci piace, ma ci sembra ragionevolmente adatto o simile a quello che qualcun altro ha in casa sua. Oppure ci piace solleticandoci a un livello superficiale, non ne siamo innamorati, non accende il nostro centro emozionale quando lo guardiamo.

- Ma, soprattutto, non ne sento il bisogno. Non valuto la bellezza come un bene prezioso e necessario.

Quando, entrato nella scuola, mi fu dato l’esercizio di acquistare dei fiori, metterli in un vaso e osservare l’effetto di questa nuova impressione, la mia risposta sarcastica fu: “A me i fiori non dicono assolutamente nulla. Anzi tutti quelli colori li trovo kitsch. Tanto varrebbe mettere la carcassa di un bue sopra questo tavolo, per me non farebbe differenza.” (Qualche tempo dopo mi capitò di vedere il dipinto che accompagna questo testo; opera di Rembrandt, squisito pittore molto attento alla qualità dei materiali, a quella che nella nostra scuola si definisce ‘alchimia’, e fu uno shock enorme, mi apparve come se Rembrandt lo avesse dipinto appositamente per me).

Nella nostra scuola diamo alla parola alchimia il significato di sensibilità al grado di raffinatezza delle impressioni. Un abito può essere di tessuto molto grezzo, o dozzinale, o dignitoso ma non eccezionale, o squisitamente prezioso. Grazie anche al fatto di aver lavorato a lungo nel mondo dell’abbigliamento e aver conosciuto i migliori produttori di tessuti e abiti, ho cominciato a vedere un mondo a cui fino a quel momento ero stato completamente cieco (Il che mi portò al paradosso che gli abiti che mi piacevano, non me li potevo permettere; quelli che mi potevo permettere, non mi piacevano. E proprio lì stava un nodo: la mia capacità di acquisto condiziona pesantemente i miei gusti e mi impedisce di vedere cose che considero al di fuori della mia portata. Piano piano ovviai a questo inconveniente con vari espedienti: ad esempio comprando meno vestiti, tuttavia scegliendone alcuni che mi piacevano tanto, godendomi la vista dalla meravigliosa terrazza di un hotel di lusso ordinando semplicemente uno spuntino, invece che una cena completa; passando molto tempo nella natura; trovando i negozi dove i fiori erano belli e freschi ma a buon mercato; spendendo, insomma, più energia al fine di incamerare bellezza con una spesa che potevo sostenere. Spendere più energia significava anche informarsi, guardare, confrontare, apprendere, imparare a vedere - distinguere tra ciò che è costoso senza motivo, soltanto perché il venditore è avido o ha un marchio prestigioso che può influenzare, o perché effettivamente l’oggetto o il materiale contiene un’energia paragonabile al nucleo radioattivo di una bomba atomica, che incessantemente emette energia a cui posso abbeverarmi.

Ciò che noi vediamo come ‘il mondo’ è un insieme di energie, di idrogeni che si attraversano vicendevolmente. Ogni oggetto è imbevuto di idrogeni, di qualità diversa. Idrogeno 96, bruttezza e negatività, come nella visione di un incidente stradale. Idrogeno 48, neutrale, né bello né brutto, diciamo un’officina meccanica dove ci viene fatto il cambio dell’olio. Idrogeno 24, spesso associato alle impressioni naturali, come una passeggiata nel bosco. Idrogeno 12, il momento in ci abbiamo visto la statua o il dipinto più bello che possiamo ricordare, infine idrogeno 6: un’eruzione vulcanica, un terremoto, un’impressione così alta e potente da mettere a repentaglio la vita fisica. Scrivo questo dall’India, dove nel giro di un minuto si passa dall’orrendo al sublime.

Alcuni di noi sono più naturalmente propensi a riconoscere la bellezza e nutrirsene di altri, per via della loro specifica essenza, o perché influenzati da genitori e ambiente sociale. Tutti, indistintamente, possono innalzare la propria sensibilità. Ogni persona che proverà ad innalzare l’alchimia del momento ne trarrà vantaggio.

Circondandoci di bellezza prepariamo per noi stessi un banchetto di impressioni, che sono il cibo che può far crescere la nostra anima. Se si comincia a sperimentare che questo è vero, si comincerà a cambiare atteggiamento rispetto agli oggetti e scenari di cui ci si circonda e, se siamo così fortunati da possedere un’anima in gestazione, questa se ne nutrirà.

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