Questo spazio continua a crescere, molte nuove persone si sono unite e questo ci spinge di tanto in tanto a ritornare alle nozioni di base, all’ABC della quarta via, poiché ci rendiamo conto che per alcuni queste possono essere idee nuove, oppure per altri concetti appresi male o dimenticati, sui quali può esistere qualche confusione.Molte tradizioni parlano di sonno e risveglio. Questa non è una vaga metafora: il livello di veglia di una persona può essere definito in modo oggettivo. La quarta via lo suddivide schematicamente in quattro stati di consapevolezza, chiamati semplicemente primo, secondo, terzo e quarto stato. Ognuno di questi stati è molto vasto, sono come continenti con variazioni e gradazioni al loro interno. Per chiarire questa vastità, uso spesso il paragone con il termine ‘volare’. Si può volare come una farfalla, o come un jet.Il primo stato è ciò che ordinariamente chiamiamo sonno: quello che si fa a letto, di notte. Nel primo stato i nostri centri inferiori (che sono, lo ricordo, cervelli separati e indipendenti che percepiscono parti diverse della realtà e sono chiamati: istintivo, motorio, intellettuale ed emozionale) pur continuando ad essere attivi, si scollegano tra di loro. Dobbiamo immaginarli collegati come vari computer da una fitta rete di cavi. Man mano che ci assopiamo questi cavi si staccano. A un certo punto, in un essere umano sano i quattro centri saranno completamente isolati l’uno dall’altro. Questo produrrà una fase profonda di sonno, senza sogni, quello che effettivamente riposa l’organismo profondamente.Di tanto in tanto qualche collegamento si ristabilisce, magari in parte, magari tra due centri soli, ed ecco che questo contatto genera una percezione, un’immagine: un sogno. Ecco perché i sogni possono avere sapori molto diversi: disperati o sereni, intensi o banali: dipende da quale parte di quale centro si è collegata con quale parte di quale altro centro, molte combinazioni sono possibili.Nel primo stato riusciamo a comprendere ben poco della realtà. È possibile che mentre dormiamo accada un lieve terremoto, o un ladro entri in casa, e nemmeno ce ne accorgiamo. Siamo piuttosto testimoni di un succedersi caotico di immagini perlopiù pescate da memorie del giorno precedente, o antiche.Nel secondo stato ci alziamo e facciamo tutto quello che ordinariamente chiamiamo azioni nello stato di veglia. Si sono stabiliti abbastanza collegamenti tra i centri da indurci ad alzarci. Tuttavia il secondo stato non merita il nome ambizioso di veglia, poiché si tratta di un’altra forma di sonno, sebbene più leggera. I sogni, ovvero queste immagini caotiche prodotte da piccoli contatti tra centri, continuano a presentarsi, e formano un velo che ci separa dalla realtà.Sto scrivendo questo testo di mattina presto. Mentre scrivo, sorseggio un caffè. Ci è voluto un po’ per riuscire ad alzarmi, e i primi minuti di ‘veglia’ sono stati caratterizzati da una estrema distrazione, e dimenticanza di quello che volevo fare, a favore di ricordi e pensieri erratici, tipici di chi non è ancora del tutto sveglio - del confine tra il primo e il secondo stato. Pian piano, anche grazie all’aiuto del caffè, il pensiero si è fatto meno erratico e riesco a scrivere queste righe.Ogni impulso prodotto da uno dei quattro centri inferiori si chiama ‘io’. Io ho sonno. Io ho bisogno di caffè. Io ricordo cosa mangiavo a colazione quando ero piccolo. Io sento due punture di zanzara sulla caviglia. Io devo ricordarmi di sostituire l’anti-zanzare. Io devo scrivere il post su Facebook. E così via: ognuno di questi impulsi si chiama ‘io’ poiché nel secondo stato ci si illude che esso rappresenti la totalità del nostro essere - mentre invece è un frammento minuscolo e temporaneo, che dopo due o tre secondi viene semplicemente a cadere e scompare.Se avvenisse un lieve terremoto mentre siamo nel secondo stato, diciamo mentre pensiamo: “Carina quella ragazza che ho incontrato ieri sera. Cosa succederebbe se la invitassi a cena?” ce ne accorgeremmo, e magari usciremmo di casa per la paura. Abbiamo quindi una connessione con la realtà maggiore di quella del primo stato. Una volta bevuto il nostro caffè, saremo in grado di lavarci, vestirci, lavorare, prendere decisioni importanti, e via dicendo. Ma ci sarà sempre il velo degli io a schermarci dalla realtà. Sarò davanti al caffè e penserò alla ragazza da invitare; sarò al lavoro e penserò a cosa preparare per cena; sarò a cena e mi chiederò dove andare in vacanza, o sarò preoccupato per un evento futuro, o arrabbiato con qualcuno. Il secondo stato è caratterizzato dal dominio degli io che costituiscono il Velo di Maya che ci tiene separati dalla realtà, che fa sì che il mio corpo sia qui, ma la mia mente sia altrove.Anche nel secondo stato non tutti i cavi che connettono i centri sono collegati. A volte, come prima del caffè, solo tre o quattro contatti. Altre, come quando eseguo un compito particolarmente elaborato e difficile, i cavi sono tutti al loro posto, come è sperabile che avvenga quando un pilota d’aereo, un violinista o un chirurgo stanno compiendo il loro lavoro. Ma sempre di sonno si tratta, in forme più o meno leggere, poiché viene a mancare la nostra identità, una certa sensazione che a parole potrei definire: “Io sono.”“Io sono” caratterizza il terzo stato. Solo da qui si può parlare di veglia. Si tratta della percezione di se stessi, chiamata anche “ricordo di sé”, poiché ci ricordiamo - nel senso di: ci rendiamo conto - di esistere, di esserci. Questa sensazione è la differenza tra la veglia e il sonno. Posso scrivere questa frase senza il senso di “io sono”, oppure ricordandomi di me stesso. La frase non cambia, ma la mia esistenza sì. Senza questa sensazione, non esisto. Il ricordo di sé è l’inizio dell’esistenza.Statisticamente, il terzo stato è un evento rarissimo. Pochi secondi alla volta, in occasione di eventi rari e spesso eccezionali, dove un terremoto o un incidente stradale ci hanno ‘costretto’ ad abbandonare il fiume dell’immaginazione, i tanti io che si concatenano pensando al passato, al futuro, alle ansie, alle speranze, ai desideri e alle paure, e ci hanno forzato a renderci conto che “Questa macchina mi sta venendo addosso, mi colpisce!”Le scuole di quarta via esistono per insegnare alle persone il terzo stato: come riconoscerlo, raggiungerlo, averlo sempre più spesso senza bisogno di eventi eccezionali come terremoti (forse potremmo dire rendendo qualsiasi evento, come il caricare una caffettiera, un evento altrettanto eccezionale), come renderlo più profondo, infine come vivere la propria vita da quello stato.Nel terzo stato gli ‘io’ non cessano, ma la nostra identità non è in essi. Io so che “Io sono” e che una zanzara ha colpito la mia caviglia. So che io sono, e bevo il caffè. Ho aggiunto una dimensione alla mia vita.Vivendo sempre di più nel terzo stato ci si accorge di quanto nel secondo stato rimanga inosservato e invisibile; del perché anch’esso venga definito ‘sonno’.Nel terzo stato non sono più i centri inferiori a dettare i moti interni attraverso gli ‘io’, ma spunta un’entità nuova, di cui nel mezzo del chiasso prodotto dai tanti io non ci eravamo neanche accorti: il ‘Centro emozionale superiore’. Uno stato che può avere diverse connotazioni: di serenità, o di meraviglia, o di appagamento, o anche di fuoco bruciante, molto intenso. Uno stato in cui non sono distratto, ma consapevole di ciò che sta davanti a me.Nel quarto stato è attivo il secondo e più alto dei nostri centri superiori: il centro intellettuale superiore. Normalmente - ma non è necessariamente così - il terzo stato viene evocato dalla bellezza, come davanti a un paesaggio meraviglioso; e il quarto da una situazione di pericolo o difficile, come in occasione della morte di un amico. È una dimensione ancora più profonda, in cui si attinge a un livello di realtà ancora più alto, più alto del nostro esistere come individui, con un certo nome e cognome. Più alto dei nostri ‘mi piace’ e ‘non mi piace’, è giusto o non è giusto. È uno stato di percezione oggettiva. Ma è inutile dilungarsi troppo su di esso, senza una familiarità col terzo stato non ci sono le basi per conoscerne le sfumature.La quarta via dice che i centri superiori possono sopravvivere alla morte del corpo fisico. Tutto il resto: corpo, pensieri, emozioni, anche le parti che di noi ci piacciono, ci fanno sentire unici e ci appaiono estremamente acute e nobili, scompariranno.
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