Quando ci avviciniamo a un lavoro su se stessi, a volte, se non spesso, ci avviciniamo per i motivi sbagliati, ossia per migliorare le nostre prestazioni e capacità, quindi per rinforzare l'identificazione con quello da cui ci dovremmo separare: noi stessi - ciò in cui crediamo, opinioni, convinzioni, emozioni, sensazioni, e come pensiamo che gli altri ci vedano.
'Qualcosa deve morire perché qualcosa possa nascere', qualcuno ha detto, e su questo siamo tutti d'accordo fino a quando non vengono toccate le nostre identificazioni più profonde, per ognuno diverse.
Quando si arriva a questo punto ci sono, semplificando, due possibilità: o si comincia a pensare che il lavoro come ci viene proposto sia sbagliato, per cui ci se ne allontana, cristallizzandosi ancora di più nel nostro sonno. La seconda opzione è di cominciare un lavoro serio per vedere noi stessi e per prendere le distanze da quello che credevamo di essere. Una continua piccola morte.
L'inizio della conoscenza di sé è la comprensione di chi si esprime dentro di noi, e capire in chi avere fiducia. Il fatto è che ciò in cui possiamo avere fiducia è creato da un lavoro, un lavoro che può essere indirizzato solo in un ambito di scuola o da un maestro.
In questa fase c'è probabilmente un senso di vuoto che vuole prendere il sopravvento: se non sono nessuna di queste cose, in chi dentro di me posso avere fiducia?
Si torna al perché nel lavoro da soli si continua a girare in tondo senza muoverci da dove siamo.
In un contesto di scuola si impara una mappatura della macchina umana che ci permette di vederne l'origine: ogni 'io' che arriva con un senso di urgenza, arriva dalle regine dei centri, ed è in genere è meglio non seguirli. Le parti intellettuali dei centri sono più caute e danno consigli più saggi, soprattutto quando vengono educate a ricordarci di dividere l'attenzione e a ricordarsi di sé.
Ma qual è il sé da ricordare, se nessuno degli io che esprimiamo lo rappresenta?
Questo richiederebbe più tempo di un post, ma per mantenere il soggetto semplice, diciamo che ci sono vari gradi, e in genere (questo è ciò che funziona per me) è utile considerare il sé come quel punto dentro di noi da cui parte l'attenzione (divisa). Il suo posto cambia con il procedere del lavoro, e diventa sempre più solido e definito.
Questo sé invisibile e silenzioso è ciò che siamo, e l'unica parte in cui possiamo avere fiducia.
Due frasi dal mio maestro:
"Non aver fiducia in nessun io. Sii presente".
"Abbi fiducia in ciò che non puoi vedere. Tutto quello che puoi vedere è nei guai".
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