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Ancora su ottave e intervalli

  • Immagine del redattore: Il Ricordo di Sé
    Il Ricordo di Sé
  • 23 mar
  • Tempo di lettura: 5 min

Ritorno su questo argomento, dato che nel recente post che ne parla ci sono stati tanti commenti e, con mia sorpresa, molti non conoscono questa idea. (Da questa parte del gruppo siamo sempre tentati di pensare che, poiché abbiamo scritto diffusamente di qualcosa, magari tre anni fa, tutti debbano conoscerla - ovvero, che i contenuti del nostro gruppo vengano letti, ricercati e riletti all’occorrenza, come si farebbe con un dizionario).


Invece Facebook non è fatto così; molti ad esempio si sono iscritti da poco e a quasi nessuno viene in mente di andare a ricercare un termine che non conosce - anzi, ben pochi contemplano l’idea che un certo termine sia da conoscere, o che non sanno già tutto ciò che è essenziale sapere sull’argomento.


Ripeto quindi brevissimamente l’idea generale, che potete approfondire andando a vedere i vecchi post: ogni processo è rappresentabile come l’ottava musicale maggiore, do re mi fa sol la si do se ascendente, do si la sol fa mi re do se discendente.

Ottave discendenti sono un fiore che appassisce, una civiltà che decade; l’universo stesso è un’ottava discendente, dove quello che la scienza chiamerebbe entropia porta a un livello sempre più basso.


Ottave ascendenti sono quelle che portano a una vibrazione più alta, come ad esempio acquisire consapevolezza, rendere più duratura, frequente e profonda la propria presenza.

Le distanza tra le note, gli intervalli, presentano due grosse irregolarità, tra il mi e il fa e ancora tra il si e il do. Questi due intervalli rappresentano il momento in cui un’ottava può interrompersi o deviare, snaturarsi.


Ogni processo completo è un’ottava. Una giornata è un’ottava. Una riunione è un’ottava. Una cena (pensare al menu e agli invitati, fare la spesa, cucinare, preparare la tavola, cenare, ripulire) è un’ottava. Un anno, una vita, una civiltà, un’era è un’ottava. Scrivere questo post è un’ottava; leggerlo, un’altra.


Solitamente un’ottava - ancora di più se ascendente - non giunge a termine, ma si spegne al sopraggiungere di un intervallo. Ci si iscrive in palestra, ma poi aumenta il carico di lavoro e si smette. Ci si innamora, ma poi diventa un’abitudine. Si crea un piano perfetto per organizzare il lavoro, ma poi a un certo punto si lascia perdere, si ritorna con passi impercettibili al vecchio sistema e il bel progetto innovativo rimane un bel progetto irrealizzato.


La nostra energia non ha una durata infinita. Ci stanchiamo. Ci distraiamo. Ci demotiviamo. Incontriamo ostacoli esterni, ovvero altre ottave che vengono ad intersecare la nostra.

Tra i tanti usi che si possono fare dell’idea di ottava, uno di quelli più pratici è utilizzarla per vincere la resistenza a continuare un lavoro interiore di sviluppo della consapevolezza.

Occorre sapere che, se poniamo, qualcuno comincia un percorso di scuola, l’entusiasmo del primo giorno non durerà per un tempo indeterminato. Sopraggiungerà stanchezza, o dubbi, o altre ottave (un matrimonio, un nuovo lavoro, uno spostamento di sede, una malattia) andranno a cozzare contro questa ottava.


Esco per una passeggiata, con l’idea di fare esercizio per un’ora. Dopo qualche minuto, arriva una forte pioggia. L’universo è un infinito intreccio di ottave che vanno a cozzare l’una contro l’altr a interrompendosi.


La nostra stessa capacità di pensiero è soggetta a questa legge. In psicologia esistono tanti test che servono a misurare la stanchezza mentale, l’incapacità di tenere una linea di pensiero per più di pochi secondi. Un esempio classico è porre un problema matematico semplice, fatto di addizioni e sottrazioni che tutti sanno fare, ma lungo, fatto di molti passaggi: si misura quindi il punto in cui la mente si stanca e rinuncia a risolverlo - non perché non sappia come farlo, ma perché si stanca. Curiosamente, in psicologia, il pensiero, tutto teorico e inesistente nella natura degli esseri umani, che non si stanca mai, è definito olimpico, ovvero riservato agli dei.


La lettura di questo lungo post non può avvenire senza intervalli. Li hai notati in te?

L’intervallo mi-fa ha un sapore diverso da quello si-do.


Mi vengono in mente alcune possibili definizioni del mi-fa

1) sentirsi persi. Sapevo come fare questa cosa, ma adesso non ne sono più così sicuro. Forse il mio piano è sbagliato, forse non è questo il modo giusto?

2) sentirsi stanchi, o distrarsi.

3) rendersi conto che lo scopo che ci si era prefissi è molto, ma molto più grande di ciò che si era immaginato.

4) arrivare a un punto che, così come sono, non posso andare avanti. Quindi la scelta diventa tra chiudere il progetto o diventare altro, cambiare. (Il processo di sviluppo spirituale consiste nel diventare altro. Non si può cambiare e restare gli stessi. È un’ovvietà, ma sfugge praticamente a tutti).


Trovo quest’ultimo punto particolarmente interessante. Per fare un semplice esempio: quando negli esercizi della domenica abbiamo menzionato quello di andare in un bar e rompere una tazzina lasciandola cadere per terra, in diversi hanno commentato: “Ma no! Perché dovrei fare una canagliata del genere?” Questo indica che la persona è più attaccata alle proprie considerazioni personali, ai propri valori, che all’idea di risvegliarsi. In realtà l’esercizio serve proprio a far vedere queste remore, stanarle, individuarne l’origine, e superarle.


(Prima che qualcuno lanci l’obiezione, preciso: si tratta di un’azione ‘cattiva’ ma evidentemente innocua: l’esempio non si applica alla richiesta di strangolare una vecchietta o rapinare una banca).

L’intervallo si-do appare tipicamente come la (immaginaria) convinzione di avere concluso un’ottava, che invece non è completata.


Oh, che bello, ho finito di lavare i piatti. Poi mi volto e vedo che sono rimaste tre grosse pentole, che avevo ignorato. Fantastico, il cliente ha appena detto che mi farà l’ordine - poi però, prima di firmare il contratto, va a casa, discute con la moglie e cambia idea.

Conoscere questa idea significa sapere e ricordare che quello che stiamo per fare oggi incontrerà degli ostacoli. Sta a noi prendere in considerazione la forza contraria, immaginare dei semplici correttivi che giungano quando ci sono degli intervalli, e applicarli.

Gurdjieff e Ouspensky fecero uno splendido esempio applicando l’idea degli intervalli al lavoro di uno studente in una scuola, parlando delle tre linee di lavoro.

Uno studente si stancherà, è certo. Si demotiverà e abbandonerà il lavoro.


Per ovviare a questo si suggerisce di lavorare su tre linee.


1) prima linea: lavoro per se stessi. Studiare, leggere, pensare, osservarsi, praticare esercizi, provare a essere presenti.

2) seconda linea: lavoro per gli altri e con gli altri.

3) Terza linea. Lavoro per il maestro e per la scuola.


L’idea è semplice quanto efficace: quando una linea di lavoro incontra un intervallo, lo studente verrà ‘salvato’ dal fatto che esiste un lavoro su un’altra linea. Poiché è statisticamente impossibile che si verifichi un intervallo su tre linee simultaneamente, lo studente non abbandona, continua.


Mi fermo qui. Molte altre considerazioni sarebbero possibili, ma il post è già davvero lungo.

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