L'identificazione con il proprio stato interiore è sempre dietro l'angolo, anche dopo anni di lavoro. Nonostante il fine del nostro percorso è quello di portarci in uno stato superiore di coscienza, il voler essere in uno stato differente da quello in cui ci troviamo si può trasformare facilmente nel respingere il momento presente.
A volte dopo eventi con studenti che rilasciano tanta energia emozionale e stati che ci fanno toccare con mano il posto interiore dove vogliamo essere, il nostro re di cuori si chiede sinceramente 'come possiamo trattenerlo?' E qui entrano certo in gioco vari strumenti o suggerimenti che la scuola offre. Ma penso anche a una frase del mio maestro, che dice: "Paradossalmente, uno dei modi migliori per prolungare il ricordo di sé consiste nel non cercare di trattenerlo".
Questo si applica a tutti i momenti della nostra giornata, o ai suoi intervalli, in cui ci troviamo in uno stato di torpore emozionale e mentale, e non riusciamo a produrre un io di lavoro che 'funzioni'.
In un intervallo uno degli ingredienti per superarlo è accettarlo. Una parte di noi vorrà 'fare' qualcosa, per uscirne il prima possibile. Spesso questo si trasforma in uno sbattere la testa contro un muro che non può essere abbattuto senza prima arrendersi al fatto che il presente dove mi voglio rifugiare è già lì.
Un pensiero di Meister Eckhart: "Non vi è miglior consiglio per trovare Dio (la presenza), che trovarlo là dove si è disposti a perderlo".
E uno di Silesius: "Voglio ciò che sono, e sono ciò che voglio. Voglio ciò che è, ed è ciò che voglio."
Mi viene in mente che uno dei gesti più comuni per arrendersi, oltre al mettersi in ginocchio, e allo sventolare una bandiera bianca, è anche quello di alzare le mani verso l'alto.
La soluzione non è mai allo stesso livello del problema.
"Ci sono cose che non si possono spiegare. Si possono solo... sopportare. Esse non richiedono un'illuminazione, ma una sottomissione."
Rilke
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