Attrito e osservazione
- Il Ricordo di Sé
- 31 gen
- Tempo di lettura: 2 min

Abbiamo spesso ripetuto che l’osservazione di sé è un aspetto importante che caratterizza l’inizio del lavoro. Abbiamo moltissime illusioni riguardo a noi stessi, e dobbiamo sottoporci a una spietata serie di momenti in cui ci vediamo come ci vedrebbe un altro, senza giudizio, né condanna né assoluzione.
Dopo tanti anni, la mia relazione con questa idea è cambiata.
Inizialmente, e con grande sorpresa, avevo questi flash di presenza in cui mi vedevo fare qualcosa che non combaciava con l’idea che mi ero fatto di me. Tenevo da parte queste osservazioni, spesso perturbanti, fino a che non raggiungevano un numero sufficiente a permettermi di elaborare una spiegazione di ciò che mi succedeva. Questo mi è servito a capire alcune cose riguardo alla mia macchina: che tipo di corpo mi trovo a essere, quale centro di gravità (se non conoscete questi due termini, cercateli in questo gruppo); questi due elementi costituiscono l’essenza; oltre a questa c’era la personalità, la mia storia personale, le condizioni sociali e culturali in cui mi sono trovato a nascere, le esperienze che mi è stato consentito di avere e quelle che mi sono state negate.
A quel punto ero in possesso di una mappa della mia macchina, più o meno accurata: diciamo che sono arrivato a capire che razza di strumento sono, se un asciugacapelli o un aspirapolvere.
Ora vedo qualcosa che allora mi sfuggiva: quello che caratterizzava il processo di osservazione e apprendimento erano sempre piccoli lampi di presenza. Questi lampi erano molto rari; il progresso di apprendimento durava quindi un tempo lunghissimo.
Oggi che frequento il terzo stato più spesso e più a lungo, continuo ad apprendere, ma a passo più veloce. E, soprattutto, avviene qualcosa che dieci anni fa era impossibile: i momenti di presenza vengono a erodere certi spazi protetti dall’inconscio - protetti con dei respingenti. Arrivo ai nodi più profondi della mia psicologia, e vedo le motivazioni delle mie scelte, da quelle quotidiane alle grandi decisioni della mia vita.
Ho passato un mese coi miei genitori. Ho visto molte cose di cui non sapevo nulla fino ad oggi, poiché, proprio mentre succedeva qualcosa che creava un fastidio enorme e aveva tutto il potenziale per sfociare in rabbia, in me esisteva un’altra entità, separata e vigile, che osservava, e prendeva nota. Ci è voluto molto tempo per sviluppare l’abilità di tenere aperti gli occhi, per così dire, durante i momenti di grande attrito - dato che la reazione che sempre avviene durante questi momenti è una totale e disperata cecità auto-indotta.
Tenendo aperti gli occhi, succede che “Sergio”, cade in pezzi, crolla. Quello che credeva di essere, non è. Le certezze che costituiscono i puntelli della nostra quotidianità, si sbriciolano.
È spiazzante, ma anche molto appagante. Vedere “Sergio” in azione è piuttosto avvincente, meglio di qualsiasi film mi sia capitato di vedere. È una macchina, qualcosa di cui essere testimoni, da controllare perché non faccia troppi danni, e da utilizzare per godere del momento presente. È il mio aspirapolvere.
Ma, soprattutto, sono arrivato a conoscere l'utilizzatore di questa macchina, ho cominciato a fare conoscenza della parte in me che può dire la parola "Io".
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