Buffet
- Il Ricordo di Sé
- 24 set
- Tempo di lettura: 3 min

Sono di ritorno dalla colazione nell’hotel in cui mi trovo. Sono come sempre sorpreso da come un piccolo momento della nostra vita riassuma in modo completo tutto ciò che so sulla quarta via e sul lavoro spirituale.
Una colazione in albergo è l’incontro tra due insiemi complicati: quello che il buffet offre e l’altro buffet costituito dalle tendenze della propria macchina. Il risultato è un incontro unico, sebbene suddivisibile in tipi.
C’è un primo sguardo a ciò che il bancone offre. Abituale, oppure nuovo. E ciò che è abituale può rassicurarmi, oppure annoiarmi. Ciò che è nuovo può entusiasmarmi, oppure allarmarmi. Posso sentirmi superiore “Che barbari! Ma davvero mangiano questo?” Oppure inferiore “Oddio, e questo come faccio a mangiarlo con forchetta e coltelllo?” Inavvertito, oppure acutamente avvertito. “Cosa ci fa questa strana combinazione nel mio piatto? Ah, già, ero distratto dalla conversazione e ho imitato, pezzo per pezzo, tutto quello che il mio compagno ha preso. Ora ho un piatto pieno di cose che non mi va di mangiare.”
Unisco questa considerazione a una domanda che uno dei lettori di questa pagina mi ha inviato ieri in forma privata. “Chi è presente riesce a riconoscere un altro che è presente?”
Come ho già avuto modo di scrivere, ci sono molti segni che lasciano trapelare che non siamo presenti. Lo possiamo vedere acutamente su noi stessi se ci osserviamo in qualsiasi momento; nel caso della colazione sto mangiando cose che non mi fanno bene; sono in considerazione interna rispetto alle persone attorno a me; mi distraggo, non assaporo il boccone che sto mangiando, ma sono preso da qualcos’altro; non sono libero nella mia scelta, le mie caratteristiche scelgono il cibo per me: la paura o il dominio vuole soltanto ciò che conosco, il vagabondo o la non esistenza neanche si accorgono di ciò che ho messo nel piatto, il potere magari insiste perché mi venga portato qualcosa che non c’è, e via dicendo.
Non sono libero. Benché le possibilità di interazione con una situazione siano pressocché infinite, ne vedo soltanto un paio. Ecco un significato della parola ‘macchina’: si spinge un bottone, ovvero mi si mette in questa situazione e, se mi si osserva bene un paio di volte, si sarà in grado di predire esattamente come mi comporterò.
Trovo che questa assenza di libertà sia una delle condizioni umilianti del sonno.
A volte si riconosce che qualcuno è presente perché è libero da queste scelte obbligate. Chi è nel momento osserva semplicemente (Semplicemente è la parola chiave) i cibi che sono presentati, e sceglie a seconda di come il centro istintivo si sente, cerca qualcosa di piacevole a patto che non gli sia dannoso, osserva con calma le opzioni, non dimentica né di assaporare, né l’eventuale conversazione con gli altri. Se si vede attorniato da persone addormentate che fanno magari cose sgradevoli (e chi è presente è perennemente attorniato da persone addormentate che fanno cose sgradevoli) non si identifica con questo, ma osserva neutrale e decide di avere un atteggiamento positivo. Infine, cerca l’uso superiore del momento, prova ad utilizzarlo come leva per aumentare e prolungare il proprio stato, fare di un evento mondano qualcosa di sacro.
Posso osservare questa calma libertà in qualcuno (potrebbe anche essere simulata, costruita, oppure imperfetta, non ancora compiuta; ma in quel caso ben presto succederà qualcosa nel momento che la smonterà). Ma anche queste manifestazioni di libertà, in cui la persona ha molte scelte invece che le pochissime dettate dalla propria costituzione meccanica, non sono che un sottoprodotto.
In realtà quello che percepisco è una vibrazione, un’energia che prescinde dalla colazione, dall’albergo, dalla circostanza, e va direttamente alla radice dell’essere.
Come posso percepirla in un altro? Bisogna che sia io stesso in quella vibrazione.








Commenti