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Immagine del redattoreIl Ricordo di Sé

Chi sei tu?

Sto leggendo in questi giorni un bel libro, “La Tenebra Divina”, di Ananda K. Coomaraswamy. Il capitolo a cui sono arrivato elenca molti esempi, dall’induismo a Platone, da Meister Eckart a Jacob Böhme, dalla Bibbia a Tommaso d’Aquino, del momento rituale in cui un individuo incontra la morte e, bussando alla sua porta, deve dichiarare chi è, rispondere alla domanda primaria: “Chi sei?”

Abbiamo ricordato diverse volte la domanda posta dal Brucaliffo ad Alice in Alice nel paese delle meraviglie (Brucaliffo che, nella versione animata Disney, appare così simile a Gurdjieff che spesso mi domando se, chissà, qualcuno degli animatori non si fosse ispirato..)

“Chi sei tu?”

Come ricorderete, Alice non è in grado di rispondere alla domanda, poiché, dice, da stamattina sono cambiata molte volte. È una domanda che, per chi si addentra in un lavoro spirituale, diventa sempre più pressante, a partire dal momento in cui uno si accorge di non poter chiamare ‘io’ nessuno dei suoi molti io, nessuna delle sue funzioni, niente che può essere osservato: ma se tutto quello che posso vedere non sono io, allora…?

Ricorderete anche il famoso aneddoto, credo di Rumi, in cui l’amante bussa alla porta dell’Amata (Ricordiamolo: rappresenta il Maggiordomo che cerca di accedere ai Centri Superiori). Alla domanda “Chi è?” per diverse volte l’amante risponde “Sono io”, e non viene ammesso. Soltanto dopo diversi tentativi, risponde diversamente: “Sei tu” (Ovvero, io non esisto, sono annullato), e gli viene aperto.

Vi è un livello in cui ciò che siamo (Ciò che siamo meccanicamente, Coomaraswamy ricorda la descrizione cristiana di Polvere e Spirito), va lasciato cadere e ciò che resta è, in un certo senso, senza identità. Il morire prima di morire implica il liberarsi interamente di questa identità inferiore, fino a non essere più nessuno.

Tra le innumerevoli frasi citate nel libro troviamo: “Brahman, il Che?, non è venuto da alcuna cosa né è diventato alcuno.”

“Il Buddha non è un sacerdote né un principe e neppure qualcuno… Io vago per il mondo, senza essere alcunché. Inutile domandarmi il patronimico.”

“Nessuna creatura può ottenere una natura di grado superiore senza cessare di esistere” (Tommaso d’Aquino).

Ma l’esempio più sorprendente e illuminante, che riporto qui, è il seguente:

“Il viandante, al termine del cammino della vita (non necessariamente sul letto di morte), bussa alla Porta del Sole, che è la porta della casa della morte, e quella del paradiso di Yama. L’ammissione dipende però dall’essere anonimo, essere ‘nello spirito’. Non vi può essere alcun dubbio che la medesima profonda escatologia mitica stia alla base della leggenda omerica di Ulisse e Polifemo. Quest’ultimo è sicuramente la Morte. (Il suo unico occhio corrisponde al terzo occhio di Shiva); il fatto che esso venga accecato e quindi ‘chiuso’ significa che il mondo illuminato dal sole e dalla luna, i due occhi degli dei, deve continuare a esistere per Ulisse e per suoi compagni. Quella che essi sconfiggono è la morte iniziatica, non quella finale, come indica anche ‘l’antro’. La sua terra, che dà raccolto senza bisogno di coltivarla, è un Paradiso, come quello di Yama o quello di Varuna. La storia, così come è raccontata da Omero, è diventata un’avventura più che un mito, ma resta il fatto che l’eroe che vince la Morte è l’uomo che alla domanda: “Chi sei tu?” Risponde: “Nessuno.”

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