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Immagine del redattoreIl Ricordo di Sé

Cose difficili da capire

Ormai sono quasi cinque anni che teniamo questa pagina Facebook. Oltre a scrivere qui, riceviamo domande in privato, messaggi, teniamo conferenze. Abbiamo diversi contatti con le persone che ci leggono.

Da questo punto di vista, balza agli occhi che i problemi delle persone sono sempre gli stessi, che le dinamiche e situazioni che si creano si ripetono con poche varianti. Come dice il mio maestro, fin dalla preistoria non c’è stato che un solo problema: l’immaginazione, e una sola soluzione: la presenza.

Tenterò qui un elenco - parziale - di dinamiche che ho osservato, cose che vedo sono difficili da capire un po’ per tutti. Se qualcuno si riconosce, che non si offenda. Siamo tutti uguali, appunto. Non c’è niente di personale in queste osservazioni, solo desiderio di aiutare. Quanto a me, so di non essere immune da nessuno di questi mali e che il mio lavoro è guardare ai miei errori soprattutto.

- La quarta via adotta un linguaggio esatto

Parecchi, anche tra i nostri lettori abituali, non sanno o non ricordano che i termini della quarta via vanno appresi. Immaginazione, Caratteristica, Essenza, Forza, Io, Meccanicità, e molti altri, sono termini che nella quarta via vengono usati in modo esatto, e diverso dal significato solito nel linguaggio comune. Vanno quindi appresi, pena la comprensione distorta di ciò che scriviamo. Occorre una certa pazienza, si può andare in fondo al messaggio di benvenuto (ma quanti arrivano fino in fondo? E quanti hanno letto il messaggio di benvenuto?) e si trova un elenco di termini base che sarebbe bene conoscere per cominciare a comprendere ciò che scriviamo.

- La lettura distratta

Quando annunciamo un evento, vediamo che pochi arrivano a leggere le cinque righe di testo che spiegano come ci si iscrive. Molti, credo, non arrivano a vedere che bisogna cliccare sul link per iscriversi, e a causa di ciò perdono l’opportunità di partecipare.

Riceviamo molte domande su informazioni che abbiamo dato proprio nel post che ha generato la domanda. Leggere un post sulla presenza senza presenza è un’occasione perduta.

- L’effetto valanga del pensiero associativo

Il primo commento a un nostro post o a un nostro evento stabilisce una sorta di regola, di mood, o di ‘do’ che influenza i commenti che seguono. Specialmente negli annunci promozionali che invitano a seguire un nostro evento o pubblicizzano il gruppo Facebook. Se una prima persona chiede, ad esempio, se si paga per l’evento, altre dieci rifaranno sotto la stessa domanda. Se la prima persona scrive ‘Gurdjieff’, altre dieci scriveranno sotto ‘Gurdjieff’. Se la prima persona fa una battuta sarcastica, si crea un salotto di battute sarcastiche. Se genera una polemica negativa, sarà un festival della polemica. Ogni paio di settimane ci tocca ‘ripulire’ l’annuncio cancellando i commenti, altrimenti si crea una catena senza fine. E i commenti successivi, improvvisamente, saranno di tutt’altro genere rispetto a quelli cancellati, perché viene a mancare l’esempio iniziale da imitare. È piuttosto impressionante vedere quanto i commenti si limitino spesso a seguire nei contenuti, nella forma, nel tono, negli argomenti, come pietre che rotolano da una montagna.

Il pensiero associativo non è innocente, (non è innocente in noi, non parlo solo dei commenti. Possiamo osservare il fenomeno nei nostri processi mentali). Un io qualsiasi ne trascina dietro altre centinaia, che crescono come una valanga. Per questo, ad esempio, scoraggiamo le animazioni, i gif, gli emoticon e così via: perché a un certo punto, imitazione dopo imitazione (al primo ne seguono inevitabilmente molti) queste faccine e animaletti che si muovono creano un effetto valanga prendendo uno spazio maggiore del messaggio originale. L’inferiore tende a consumare il superiore, ha detto il mio maestro. Nelle scuole questo processo si inverte, con grande pazienza e sforzo, e noi cerchiamo di rispettare lo stesso principio qui, per quanto possibile.

- Non sono gli altri

Tra le righe di molti commenti si legge la volontà di insegnare, di ‘condividere’, come si usa scrivere qui. A prescindere dal proprio livello di conoscenza - i propri io vengono sempre presi molto seriamente. Gli addormentati sono ‘gli altri’, non io. ‘Io’ sono quello che ha qualcosa di prezioso da condividere.

Per quanto ci riguarda, ci siamo dati l’impossibile compito di tenere a bada i nostri io, le nostre opinioni, per lasciar spazio a informazioni di scuola. Per noi è molto chiaro che queste informazioni vengono da un livello superiore a quello delle nostre opinioni personali. Se ci sganciamo da questa influenza di scuola, la nostra presunta ‘autorità’ svanisce. Sappiamo che siamo macchine come gli altri. L’addormentato, quello che ha bisogno, sono io, non sono gli altri. È ovvio che mi sia facile vedere il sonno degli altri; il mio lavoro è però andare a snidare le mie particolari forme - quelle che altri vedono ma io ho piazzato nel punto cieco del mio essere, a cui non posso e non voglio accedere. E più mi sento superiore agli altri, più dormo - è una certezza.

È per questo che qui non si discute. Noi per primi non discutiamo con le informazioni di scuola, e accettiamo soltanto chi è curioso di apprendere.

- La negatività distrugge le comprensioni più alte

Come scrisse Ouspensky, alcune persone si sentono intelligenti soltanto quando fanno osservazioni negative. È un’abitudine mentale. Di solito queste persone amano definirsi spiriti liberi, non soggiogati, non pecore. Libero è chi può scegliere liberamente il suo atteggiamento, e può quindi reagire positivamente così come negativamente, a seconda della sua migliore comprensione e di un sincero lavoro di verifica oggettiva. Occorre un certo livello di umiltà per provare a osservarsi oggettivamente, senza prendere sul serio i propri atteggiamenti iniziali. Se mi viene detta una frase, diciamo sui vaccini, o sulla politica, la filosofia, l’alimentazione, l’etica, e la mia prima reazione è un’osservazione sarcastica, non devo lasciarmi ipnotizzare dall’argomento, ma andare al punto; la mia osservazione deve essere: “Ancora una volta sembra che la mia tendenza sia rispondere sarcasticamente a certi stimoli.”

Ci sono cose che possono essere comprese soltanto con un atteggiamento positivo. Dando il beneficio del dubbio, sospendendo il giudizio per qualche tempo, facendo esperimenti oggettivi. Occorre umiltà e determinazione. Si giungerà a vedere la reazione negativa a prescindere come una debolezza, una forma di prigionia, una salivazione del cane di Pavlov.

- Non sono unificato, sono fatto di molti ‘io’

Anche chi sa questa cosa, spesso non la sa. Non ha verificato il fatto che in noi trascorrono migliaia di io uno dopo l’altro, e che durano pochi secondi. È stato letto ma non compreso. Oppure è stato capito in teoria, ma si pensa che ognuno di noi abbia semplicemente quattro o cinque io: uno per la famiglia, uno per gli amici, e così via. Non si arriva ad agganciare questa teoria alla comprensione profonda che, ad esempio, il pensiero che mi viene leggendo questa frase è un io, è una reazione inevitabile e meccanica. E che ora, tre secondi dopo, c’è già un altro io al comando della mia macchina. Non realizzando la natura effimera e automatica di questi io, tenderò inevitabilmente a prenderli sul serio. Il sonno è questo.

- Gli ‘io’ - tutti - sono meccanici

La presenza è uno stato di indipendenza dai molti ‘io’. Da tutti gli io. Quelli motori e quelli emozionali; quelli superficiali e quelli profondi; quelli generosi e quelli egoisti. È uno stato in cui percepisco direttamente, senza la mediazione degli ‘io’. “A quali io bisogna credere?” Domanda il mio maestro. “A nessuno.”

Di tanto in tanto, in risposta ai post del sabato di Fabio, per fare un esempio frequente, che invitano ad essere presenti a certe impressioni, arrivano lunghe descrizioni degli io e delle associazioni che la persona prova guardando l’immagine, ascoltando la musica. Oppure il lettore condivide le proprie opinioni sulla qualità dell’immagine, sulla bellezza o bruttezza della musica. Ma tutti questi sono appunto gli ‘io’, il materiale meccanico da cui occorre separarsi se si vuole essere presenti. L’invito è di arrivare a vedere, con uno sforzo di separazione, che Io non sono nessuno di quegli io, ma che posso percepire indipendentemente e separatamente da essi.

- Quanto è importante per me la presenza?

A parole, spesso è importantissima. Messa a confronto momento per momento con altre cose, però, perde la competizione con quasi tutto (altrimenti sarei già un risvegliato). Perde la competizione con quel meraviglioso pasticcino nella vetrina del bar; perde la competizione con la telefonata di lavoro che mi mette in tensione; perde con la mia postura abituale; perde con i pensieri di vanità, o di auto commiserazione che anche oggi non mi abbandonano; perde con la mia distrazione che mi fa lasciare le chiavi in chissà quale posto; perde con il mio disappunto e rabbia per aver perso le chiavi; perde con la sconsolante realizzazione che sono sempre addormentato, che non ce la farò mai, che sono un incapace.

Per ognuna delle mie parti l’idea di essere presente è una cosa diversa. Ogni mia parte la capisce a modo suo, e parziale. Di solito, ogni mio centro pensa che sia semplicemente una attenzione più acuta, nei suoi termini e riguardo alla particolare gamma di elementi che quel centro vede. Certe parti vedono la presenza come un pericolo, ma non osano dichiararlo apertamente. La maggior parte dei miei io, semplicemente, se ne dimentica e continua a tirare dritto secondo vecchie abitudini incrostate in me.

Di cosa avrei bisogno per uscire da questo circolo vizioso?

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