Ieri sera sono andato a un concerto di musica barocca - uno stile di musica che amo particolarmente.
Un bel concerto. Eseguito bene. Sapevo perché stavo assistendo, per dare ai miei Centri Superiori materiale sufficientemente interessante perché rimangano presenti. Sono trentaquattro anni che quotidianamente sono focalizzato sull'organizzare la mia vita in modo da rimuovere ostacoli alla Presenza, in modo da incoraggiarla. Conoscevo una buona metà dei brani in programma, potevo andare a fondo nell’ascoltarli, seguirne aspetti poco evidenti della struttura, apprezzare il dialogo tra gli strumenti, confrontare quell’esecuzione con altre ascoltate in passato.
Eppure, più di una volta, mi sono ritrovato in immaginazione, a pensare alla mia ‘situazione’, a cambiamenti della mia vita che mi attendono, a un esame medico che mi preoccupa, a persone a me care.
L’essere divisi in molti ‘io’ crea una pressione fortissima a distrarsi, a lasciar procedere la direzione della mia mente in modo associativo. Mi domando: cosa sarebbe stato del mio assistere al concerto senza questi trentaquattro anni di lavoro?
In modo simile, stamattina, uno dei primi pensieri appena sveglio è stato: “È venerdì, devo scrivere il post.” Sto scrivendo queste righe prima di bere il mio indispensabile caffè, quello che mette in modo i centri. Ho girovagato per casa, preparando la colazione, facendo piccole cose necessarie e non necessarie, per circa quaranta minuti. Qualsiasi domanda mi è stata posta, anche su argomenti banalissimi che non richiedono concentrazione (“C’è rimasto del pane? Stasera esci?”), ha interrotto il mio processo di ricerca di un argomento di cui scrivere per parecchi minuti - al termine dei quali mi sono ritrovato, come un ubriaco barcollante, a pensare: “Ah, ecco cosa stavo facendo: stavo cercando un argomento per il post di oggi.” Che condizione umiliante!
Il pensiero associativo, la nostra suddivisione in molti io, sono leggi potentissime. Nessun programma può essere portato avanti. Non si può reclamare alcuna unità dell’essere. Il mio sé inferiore non è uno, ma molti. Non può fare. È tutto vero, non si tratta di metafore, modi di dire. La situazione della macchina umana è disperata.
Spesso ho notato che la frammentazione in molti io è così estrema in una persona che non c’è modo che essa comprenda il fatto stesso di essere divisa in molti io. Si riesce a comunicare questa idea a un io, ma due secondi dopo ne subentra un altro che dice: “Che bella notte stellata! Usciamo!” Oppure: “La guerra è una tragedia.”
È davvero un miracolo se di tanto in tanto qualcuno si scuote e si decide a un lavoro serio. L’io che decide di farlo è proprio come una pallina della roulette capitata, in gran parte per caso, nel numero vincente.
A che cosa sono serviti allora, questi trentaquattro anni di tentativi? Durante il concerto, e anche stamattina, quando mi accorgevo di essere naufragato, lontano dal mio scopo, potevo rientrare prontamente e utilizzare l’energia extra per ottenere uno stato di Presenza intenso, immediato. Alcuni momenti del concerto di ieri sera, probabilmente non li dimenticherò mai. Forse, trentaquattro anni fa, non mi sarei nemmeno accorto delle tante distrazioni durante un concerto, poiché rappresentavano un mare in cui ero completamente immerso.
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