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Immagine del redattoreIl Ricordo di Sé

Elevator Pitch


Per chi non conoscesse questo termine, Elevator Pitch indica una spiegazione estremamente concisa, come quando qualcuno ci chiede in ascensore Che lavoro fai, oppure abbiamo l’opportunità di spiegare un progetto a qualcuno che potrebbe approvarlo, nel pochissimo tempo che ci separa dal pianoterra.


Di tanto in tanto, anche per via delle molte persone che si aggiungono al gruppo, è utile ricominciare dall’ABC - utile per tutti, vecchi e nuovi.


L’uomo non è un individuo coeso ma una colonia, un assembramento di parti diverse e indipendenti. Ognuna di queste parti lavora secondo il suo particolare e limitato punto di vista e per i suoi interessi, in contrasto con le altre e spesso a loro insaputa.


Ognuno di questi frammenti prende il nome di io, poiché in quel momento (io ho fame, io sono sincero) ci illudiamo che ci rappresenti interamente, ma dopo pochi secondi quell’io sarà dimenticato e sarà già il turno di un io nuovo, completamente scollegato da questo, oppure collegato da un filo associativo.


L’essere umano non ha alcun potere decisionale nello stabilire quale io si affaccerà il prossimo secondo. Pensieri, emozioni e sensazioni ci ‘visitano’ incuranti della nostra volontà, anche se ‘noi’ (ovvero altri io che si oppongono) non lo vogliamo.


Gli io sono reazioni a stimoli, esterni o interni. Mi insulti, mi offendo. Mi elogi, mi sento bene. Il cibo, il vino, le persone, i luoghi, gli eventi, il tempo meteorologico, i ricordi che affiorano ‘mi piacciono’ o ‘non mi piacciono’.


Per questo l’essere umano viene anche definito ‘macchina’, poiché ha pulsanti che si possono toccare e si otterranno reazioni certe (di nuovo mi insulti, mi offendo). Anche su queste il nostro potere di decisione è inesistente. Queste reazioni ci accadono continuamente e inventiamo ogni sorta di bugie per non vedere questa semplice realtà e sentirci invece forniti di unità, volontà e di essere padroni del nostro destino.


Gli io sono il residuo delle immagini sconclusionate che ci visitano durante il sonno, e continuano nello stato di veglia. Le fabbriche che producono questi io sono una serie di cervelli indipendenti: istintivo, motorio, emozionale e intellettuale.

Il nostro essere, tuttavia, non è limitato alla macchina. La nostra vera identità è il Sé; che non agisce, non decide, non desidera se non esistere. È un Testimone che, a volte, quando per motivi casuali o indotti il chiasso degli io si attenua - ad esempio durante un incidente stradale - possiamo percepire in noi. In particolare possiamo percepire che noi siamo quello, non siamo nessun altro dei molti io.


Il problema principale dell’essere umano è stabilire e mantenere continuamente una giusta collocazione del proprio senso di identità: spostarlo da uno degli io (identificazione) al Sé (identità).


Quando vedo con gli occhi del Sé sono in uno stato di presenza. In questo stato non ci sono incertezze, dubbi, desideri e nemmeno molte limitazioni a cui siamo abituati. Posso dire che in Presenza la mia percezione è sdoppiata, in quanto la macchina continua a produrre degli io, ad esempio sorseggiando un caffè troppo amaro, guardando dei bellissimi fiori oppure venendo investiti da un rumore troppo alto - e, allo stesso tempo, Io sono qui che assisto a tutto questo.


Questo stato è molto semplice. La cosa più vicina ad esso è la semplice percezione di un neonato che guarda curioso e attento, assaggia, tocca. Ma non sappiamo come sostenere questo semplice stato, e molto facilmente cadiamo affascinati nel sonno, questo o quell’io ci cattura, e di nuovo collochiamo il nostro senso di identità nel posto sbagliato, sogniamo, siamo addormentati.


Anche se l’obiettivo finale è di grande semplicità, il lavoro per arrivarci può essere strenuo e complesso - e certamente richiede sincerità e coraggio - dal momento che la macchina è un labirinto (una giungla di cattive abitudini a cui abbiamo permesso di crescere fin dall’infanzia), e anche se ci rendiamo conto di alcune manifestazioni meccaniche, dal momento che la macchina ‘siamo noi’, avremo sempre dei punti ciechi che non riusciremo a vedere e da cui qualcosa di esterno dovrà estrarci.

La visione della macchina è un insieme di errori di prospettiva. Vediamo in modo sbagliato, spesso invertito. Basta credere a uno qualsiasi degli io (anche se nobile e in sé giustificato), che cadiamo nel sonno. Uscire da questa condizione da soli è virtualmente impossibile, occorre l’aiuto di un essere conscio che ne sia già uscito. Gli inganni e le trappole nel cammino sono innumerevoli.


(Il pitch è venuto lungo. Si vede che era un palazzo molto alto).

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