Lo stimolo per il post è dato da alcuni commenti all'esercizio che è stato proposto una settimana fa su questa pagina (post di ieri).
È utile vedere gli scopi su scale diverse, e il 'successo' o il 'fallimento' di qualcosa su una scala non implica necessariamente il suo 'successo' o 'fallimento' su altre (uso termini come 'successo' e 'fallimento' per capirsi, ma non c'è fallimento nel lavoro, così come non c'è successo).
Per esempio, ci diamo lo scopo, come nel caso dell'esercizio suggerito da Miriam, di provare a fermare i pensieri ogni volta che vediamo un'auto verde, e arriviamo alla sera realizzando che ce ne siamo completamente dimenticati.
Eppure, se questo fa parte di un obiettivo più ampio, per esempio quello di avere osservazioni su se stessi, l'esperimento potrebbe essere stato un grande 'successo'. Potrei verificare un aspetto del sonno - un io si dà uno scopo, tutti gli altri non ne sanno nulla - oppure potrei vedere che uno scopo come questo ha bisogno di una impalcatura di altri piccoli scopi a sostegno (che so, una sveglia del telefono con un timer che mi ricordi di tanto in tanto durante la giornata del mio scopo). Potrei realizzare che da soli, senza l'aiuto di altri nel lavoro, è veramente difficile, o che forse una settimana è troppo poco per cominciare a entrare in profondità in un esercizio. Da qui potrei decidere di volerlo tenere più a lungo.
In generale, spesso impariamo molto di più da ciò che la macchina considera un 'fallimento' che da quello che considera un 'successo', soprattutto perché non si può mai essere sicuri fino a che punto il 'successo' sia stato a causa dei propri sforzi, e in che misura sia stato dovuto a fortuite circostanze, ma dopo un 'fallimento' si può quasi sempre vedere come sia la propria meccanicità che ha contribuito al risultato. In questo senso, potremmo anche dire, come mi ha detto una volta un amico studente, che il 'successo' nel lavoro è principalmente il risultato di una lunga serie di ispirati 'fallimenti'.
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