Pensiero associativo, pensiero formatorio
- Il Ricordo di Sé
- 12 nov
- Tempo di lettura: 3 min

Lo abbiamo scritto tante volte: il pensare è una funzione, fa parte quindi di ciò che la quarta via chiama la macchina.
Abbiamo anche ripetuto che spesso è proprio il pensare a costituire un velo tra noi e l’esperienza diretta, intensa, che fa parte dello stato di Presenza.
Occorre poi rendersi conto che non sappiamo pensare. Spesso non sappiamo nemmeno riconoscere cosa è il pensare, lo confondiamo con espressioni di ciò che dovrebbe essere definito come sensazione o sentimento. E, quando è pensiero, è pensiero viziato da una serie di cattive abitudini.
Una di queste è il pensiero associativo. Come abbiamo scritto abbondantemente, ad ogni nuovo respiro, un nuovo io si affaccia in noi, come risposta a uno stimolo.
Spesso si tratta di un pensiero - un breve frammento di pensiero in reazione a qualcosa che sta succedendo. Ad esempio: “Fa freddo, oggi metterò la giacca pesante.”
Questo io, a sua volta, scatenerà una serie di io concatenati, ciascuno dei quali sarà la risposta allo stimolo precedente, e lo stimolo per quello successivo.
“Dove ho messo la giacca pesante? Qui non c’è.”
“Forse nell’armadio dell’altra stanza.”
“Ma lì c’è Mario, sta dormendo, lo sveglio?”
“Anche lui, però, potrebbe alzarsi prima.”
“Io alla sua età ero molto più attivo.”
“Potrebbe sforzarsi.”
“Ma sarà forse genetico che qualcuno si alza prima e qualcun altro tardi? Le allodole e i gufi, dicono?”
E così via.
Gli io si sono succeduti in modo totalmente involontario, cavalcando abitudini mentali che hanno creato nel tempo delle autostrade interne, scivolano uno dietro l’altro in modo automatico. “Io” non ho creato nessuno di questi pensieri, sono sorti spontaneamente come un fungo dopo la pioggia, come una grattata dopo una puntura di zanzara.
Una delle abitudini associative più profondamente radicate in noi, è la verbalizzazione stessa. Poiché comunichiamo i nostri pensieri agli altri attraverso le parole, associativamente usiamo parole quando pensiamo tra noi.
Ad esempio, “fa freddo”, è un semplice io istintivo. Non richiede parole. Anche un topo o una lucertola possono avere lo stesso io, certamente senza parole che lo accompagnano.
Eppure, nel nostro caso, è molto probabile che l’io appaia automaticamente come verbalizzato.
“Brr, che freddo!”
“Fa un freddo cane!”
E via dicendo.
(Da notare che il verbalizzare un io lo traveste, in un certo senso, da io intellettuale, confonde le acque).
Il verbalizzare aumenta a dismisura la quantità di associazioni, dato che, come ogni poeta sa, ogni parola è un potente evocatore di associazioni, carico di una rosa di concetti associati.
(Già la parola ‘rosa’, per indicare molteplicità e parziale sovrapposizione, è un esempio del potere associativo delle parole).
Incidentalmente, è per questo che la poesia è così difficile da tradurre e, per certi linguaggi, di fatto intraducibile. Perché la rosa di associazioni è diversa da cultura a cultura; è stato soltanto alla quarta o quinta volta che mi sono reso conto che, in India, “Oggi c’è bel tempo”, indicava una giornata grigia o piovosa, dato che l’alternativa sarebbe stata un caldo insopportabile.
L’altro frequentissimo uso improprio della funzione intellettuale è il pensare formatorio.
In breve, si tratta di usare la funzione intellettuale nel suo livello di attenzione automatico, quello che nel nostro linguaggio si chiama il fante di quadri.
Il fante intellettuale pensa per clichés. Utilizza pensieri già pensati, come slogan o proverbi. Vede inoltre soltanto due possibilità, si o no, destra o sinistra, bianco o nero, laddove indagando si presenterebbe una rosa (ancora qui!) di possibilità.
Questa carta, pur essendo sempre esistita, sta diventando oggi purtroppo sempre più diffusa, ed è indice di un imbarbarimento generale, di un decadimento della cultura. La pubblicità, i social media, la politica, usano esempi iper-semplificati per fare presa sulle persone. Talmente iper-semplificati da rappresentare una parodia della realtà.
Ho in mente un esempio perfetto, molto usato in questi giorni, ma poiché ho lo scopo di non parlare di cose politiche, non lo userò. Basterà dire che nei social media è sufficiente postare una frase come: “HO MESSO L’ANANAS SULLA PIZZA. HO FATTO MALE?” per scatenare una serie infinita di commenti di ogni genere. (E se io mi indigno per la frase, faccio parte dell’infinito gregge di varie reazioni allo stimolo. Occorre trovare un punto neutrale per esaminare, ed eventualmente condannare, manifestazioni che riteniamo negative).
Questo genere di barbarie caratterizza fortemente la nostra epoca.
Si può salire ed utilizzare la regina di quadri, e il re di quadri. Già questo è un miglioramento nell’uso della funzione intellettuale.
L’uso intenzionale e accurato della funzione intellettuale ci porta in un luogo più vicino alla presenza, che tuttavia non è lo stato di presenza. Diciamo che aumenta le mie possibilità di giungervi, mentre dalla zona del pensiero associativo e formatorio non ci sono mezzi pubblici che arrivino fin là.








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