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Febbre

  • Immagine del redattore: Il Ricordo di Sé
    Il Ricordo di Sé
  • 31 gen
  • Tempo di lettura: 4 min

Molti anni fa lessi un libricino della scrittice Patricia Highsmith (nome forse non notissimo, alcuni riconosceranno due film tratti da suoi libri: “Il talento di Mr. Ripley”, e “L'amico americano”). Il libretto si intitolava “Come si scrive un libro giallo.” Non aveva assolutamente nulla di esoterico, ma conteneva molte intuizioni pratiche e di buon senso, che venivano dall’esperienza personale di una persona capace.


Una delle idee del libro che mi è rimasta riguarda il processo di identificazione (termine curioso, che pur con valenze un po’ diverse, appartiene a letteratura, psicologia, e quarta via: sempre si tratta del nostro senso di identità che ci viene sottratto e vola via; di forme di ipnosi o fascino).


Ci si identifica con una storia, scrive la Highsmith, se il protagonista ha una direzione e se trova degli ostacoli che la impediscono. Questo è ciò che fa una storia. Il meccanismo può accadere in due modi: o il protagonista è superdotato, e allora gli ostacoli saranno immensi: diciamo è un guerriero e stratega abilissimo e riesce a spuntarla anche se ha contro servizi segreti, governi, eserciti e via dicendo; oppure è una persona comune, anzi ha qualche handicap, e allora l’ostacolo può essere davvero minimo, come quando una persona con le vertigini deve attraversare un ponte, o un mazzo di chiavi si trova giusto un centimetro fuori dalla portata di un prigioniero.


Ho sempre avuto una predilezione per il secondo tipo di storia, che trovo più avvincente e realistica - infatti mi libera dalla necessità di credere a un individuo con capacità irreali.


Eppure, assai spesso è proprio a questo che crediamo quando parliamo di evoluzione, illuminazione, sviluppo, guerrieri spirituali e così via. A difficoltà immense, poteri immensi.

Sono tornato in India il 30, e poche ore dopo ero a letto con la febbre. Un’influenza molto forte, che mi debilita e mi rende difficile pensare. Anche ora, faccio fatica a controllare il filo del discorso, a non digitare le parole sbagliate. Passo il mio tempo a letto, dormendo, scorrendo il telefono senza direzione.


Una delle prime cose che ho notato è una forte tendenza all’irritazione. L’ho notata anche nelle ore che precedevano la malattia vera e propria; anzi è proprio questo facilissimo irritarsi che mi ha segnalato senza ombra di dubbio che stavo per stare male e mi ha permesso di prendere I medicinali tempestivamente, prima di notare altri sintomi.


L’irritazione avveniva ogniqualvolta qualcuno mi chiedeva di concentrarmi. Ad esempio, di andare a ricercare una certa email che “serve assolutamente in giornata”. A cosa si deve? Il colpevole è il Re di Fiori (la parte intellettuale del centro istintivo). Se non conoscete questo termine potete ricercarlo, e troverete come sempre abbondanza di materiale che spiegherà parecchie cose. Sentendo che il corpo si sta ammalando, Il Re di Fiori semplicemente taglia tutte le situazioni che prevedono un dispendio di energia anche minimo, per salvaguardare il corpo e facilitare la guarigione.


Il problema è il mio scopo di studente di provare ad essere presente sempre e a non esprimere emozioni negative. Per questo, da una parte provo ad accontentare il Re di Fiori riposando molto, prendendo le medicine, assumendo bevande calde e così via. Dall’altro, cerco di riconoscere la negatività al suo sorgere e, se posso, bloccarla; se non posso, perdonarmi e ricominciare.


La frizione è matematicamente commisurata alla mia capacità di agire nel momento - per la precisione, sempre un gradino troppo alta per poter essere controllata. Fu Ouspensky, solitamente molto pudico quando si trattava di tirare in ballo forze superiori, a dire che non ci viene mai amministrata della frizione che non possiamo tollerare.


Questo fine settimana era da me atteso da lungo tempo: un centinaio di studenti della mia scuola arrivano nella città dove vivo da diversi continenti e ci sono vari giorni di attività, a cui non potrò partecipare perché, quand’anche mi sentissi meglio all’ultimo momento, rischierei di contagiare tutti.

Tutte le attività che mi ero impegnato a sostenere, sono state giocoforza frettolosamente assegnate ad altri.

Tranne una. C’era qualcosa che potevo fare ieri, da casa, senza contagiare nessuno.

Ho preso un caffè forte e ci ho provato. Dopo un’oretta è arrivato l’intervallo mi-fa e, sentendo che non ce la facevo, ho dovuto inventarmi qualcosa per tirare avanti: ho messo su della musica classica. La selezione automatica dei brani ha portato dei pezzi sempre più emozionali per me, e ha sollevato il mio stato in uno spazio davvero speciale, etereo, quasi beato. Mentre svolgevo il mio semplice lavoro, avevo quasi le lacrime agli occhi e intuizioni nuove su molti argomenti.


Questo processo si chiama Trasformazione della Sofferenza, ed è uno dei miracoli che accadono in un lavoro di scuola. Tutti gli incarichi che in questi giorni ho rifiutato (uno giusto un quarto d’ora fa, nel mezzo di questo post) non hanno portato che rabbia e irritazione; quell’unico che ho trovato la forza di accettare mi ha portato per un’oretta in Paradiso.


Non posso mai aspettare condizioni ‘migliori’ per essere presente, poiché queste, semplicemente non esistono. Esiste il presente, con le sue leggi ferree. Posso ascoltare il Re di Fiori, e quindi subordinare il lavoro a condizioni fisiche o esterne - e, in questo caso, posso essere sicuro che il Re di Fiori metterà paletti sempre più ferrei, creando sempre nuove condizioni in cui il lavoro non è proprio possibile perché non mi sento bene, non ho abbastanza tempo, abbastanza soldi, adesso ho delle persone che sono venute a trovarmi, ho iniziato un nuovo lavoro, fuori fa freddino, e via dicendo.


Lo scopo del lavoro è mettere lo stato di Presenza al di sopra di qualsiasi condizione esterna, di qualsiasi condizione delle mie funzioni.

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