Semplificando molto, si potrebbe dire che il cervello istintivo e quello motorio sono direttamente relazionati a oggetti del mondo esterno, mentre quelli intellettuale ed emozionale possiedono ampie parti che hanno l’abilità di riflettere sugli ‘io’ della mia macchina mentre queste relazioni avvengono.
Un semplice esempio. Il centro istintivo sente un odore invitante e vede un bel vassoio di dolcetti. “Dolcetto!” esclama la regina, e subito il centro motorio ne prende uno, lo addenta, e di nuovo quello istintivo ne gusta il sapore.
Il centro emozionale ha la potenzialità di mettersi in relazione con gli ‘io’ che la mia macchina genera in quel momento. “Quando mangio questi dolcetti sono sempre felice.” “È come tornare bambino.”
Potrebbe quindi generare degli ‘io’ in qualche modo vagamente strategici, che organizzano eventi futuri: “Adesso ne porto uno a Marco.” “Anche lui, quando li mangia, è felice, guarda come sorride.”
A quel punto il centro intellettuale (o la parte intellettuale del centro istintivo) potrebbe intervenire introducendo un’altra linea: “Veramente il dolcetto, sia per Marco che per me, porta anche danni. Sto ingrassando troppo. È bene contenere il cibo.”
E il centro emozionale potrebbe contribuire aggiungendo: “In realtà la reazione positiva che provo mangiando il dolcetto non è felicità. È uno stimolo che si esaurisce rapidamente; piacevole ma senza profondità e non paragonabile ad altre esperienze in cui sono soddisfatto in modo più profondo.”
Il centro emozionale può andare ancora più a fondo e interrogarsi, assieme al centro intellettuale, su cosa possa davvero definirsi ‘felicità’. Il centro intellettuale elaborerà ipotesi, e quello emozionale le convaliderà confermando che le sue percezioni corrispondono all’ipotesi, o la invaliderà, per così dire, sentendo che le proprie percezioni non sono in accordo con l’ipotesi.
Il centro emozionale e quello intellettuale (tutte le parti intellettuali di tutti i centri, in realtà) ci portano in un mondo dove sono possibili decisioni strategiche, cambiamenti di comportamento, progetti. Sono una grande forza che ci porta via dalle semplici esperienze del presente, come semplicemente mangiare il dolcetto. Sono anche forze che, se sappiamo mantenerle mentre ritorniamo alla esperienza del presente, lo arricchiscono potentemente con dimensioni sottili e profonde. Con essi è più difficile essere presenti, ma se si riesce, allora si sarà più presenti.
Il centro intellettuale può essere utilizzato per cambiare rotta, per introdurre nuovi elementi, per scoprire nuove connessioni: proprio a causa della sua lentezza. Gli altri centri corrono tutti in maniera maggiore il rischio di essere suggestionati da una situazione. Il centro intellettuale è come la persona di un gruppo che, durante un terremoto, mentre tutti scappano in preda al panico, finisce la sua tazza di caffè con calma dicendo: “Bè, che c’è? Cos’è tutto questo affannarsi?”
Meglio quindi diffidare quando osserviamo che il nostro pensare relativamente a qualcosa è regolarmente accompagnato da una emozione - particolarmente una emozione negativa: ira, paura o indignazione, ad esempio. Significa che il centro intellettuale è stato reso schiavo da altri centri. Crederemo allora di stare formulando un pensiero, mentre semplicemente diamo voce a una delle regine degli altri centri. “Questo avvenimento dimostra che tutti sono cattivi con me!” “È un tale incapace!” In questi casi il centro intellettuale non sta realmente lavorando, è semplicemente l’altoparlante attraverso cui altre parti della macchina si stanno esprimendo.
Attenzione a quello che chiamiamo pensare. Pensare significa combinare dati a disposizione e percepire relazioni tra essi. Ogni volta che consideriamo un argomento, dovrebbe accadere che si percorrono sentieri ogni volta diversi: il semplice fatto che ogni volta che pensiamo a una certa cosa avviene una ripetizione di pochi slogan o parole chiave sempre uguali indica che lì pensiero non ce n’è.
Molto tempo fa stavo guardando un film, e dopo una mezz’ora avvertii un sottile senso di disagio che non riuscivo a spiegarmi. Il film non era particolarmente bello né brutto. Non era nemmeno una storia scioccante, fatta per creare disagio psicologico: allora perché mi sentivo così scomodo?
A un certo punto compresi: nessuna delle attrici, nessuno degli attori, era bello.
Seguire col centro motorio persone attraenti mentre parlano o si muovono è una forma di ipnosi talmente utilizzata nel cinema che improvvisamente la sua assenza - certo intenzionale - in questo film, rendeva difficile seguirne le vicende. Le mie regine non si sentivano intrattenute abbastanza. Mentre una storia debole interpretata da persone attraenti si segue anche nei punti meno credibili.
Una delle ragioni per cui è desiderabile essere presenti e per cui si può sentire orrore per il nostro stato ordinario è che il secondo stato è una forma di ipnosi. I nostri centri sono disconnessi, noi non ne siamo i padroni, e ora questo ora quel semplice impulso ci muovono come burattini, ci fanno fare, vedere e pensare cose che nemmeno sospettiamo.
Comentarios