Scrivo queste righe quando qui è mattina presto, assonnato, prima della partenza per una breve vacanza.
Contrariamente a quanto succede di solito, nell’aria c’è un certo silenzio (Relativo, proprio mentre ho scritto la parola silenzio un clacson, un petardo e la campana di un tempio hanno risuonato simultaneamente). È la quiete che segue una notte di festeggiamenti, dato che qui, ieri sera, si celebrava il Diwali.
Ieri era l’ultimo giorno dell’anno, da queste parti. Fuochi d’artificio, grida, rituali. Persino dove abito si è tenuta una Pooja, un rituale Hindu, in onore delle due divinità del Diwali: Ganesha, colui che rimuove gli ostacoli, e Laxmi, dea del benessere e della prosperità. Si è bruciato olio, ghee e incenso in lampade di terracotta e di bronzo. La casa è stata purificata in preparazione dell’anno che verrà. La foto che accompagna questo testo è quella del piccolo altare domestico che da oggi mi ritrovo in casa.
L’altra sera sono stato a un ricevimento con gli studenti della mia scuola. Mi spiegavano del Diwali, di come quello fosse l’ultimo giorno dell’anno in quella regione soltanto, e altre zone hanno altre date come capodanno. Mi hanno anche spiegato che Diwali è la festa delle luci. Non della luce solare, ma di luci umane delle lampade ad olio. Si riferisce a un momento felice dell’epica del Ramayana, uno dei due grandi miti della tradizione Hindu, assieme al Mahabaratha. Rama, la cui consorte era stata rapita e tenuta per lungo tempo prigioniera dal demone Ravana, rientra trionfalmente con la consorte ritrovata nella città di Ayodhya, e lungo il perimetro delle mura della città lo accoglie la luce di migliaia di lampade a olio.
Questo è Diwali: il termine di un lungo tormento. Come se Ulisse fosse potuto rientrare a Itaca apertamente e festosamente, riconosciuto e festeggiato da una comunità che lo ama.
Mi hanno detto inoltre che per i Jain - che pure sono Hindu, ma hanno delle fondamentali differenze nelle loro credenze - il Diwali festeggia qualcosa di completamente diverso. I Jain hanno 24 figure, chiamate Tirthankaras, che nel corso della storia umana si sono succedute e sono diventate, come diremmo noi della quarta via, consce. L’ultimo di questi esseri realizzati, il ventiquattresimo, Mahavira, decise che il giorno della sua liberazione o, se vogliamo, cristallizzazione (I miei amici hanno usato un termine molto poetico e chiaro, ‘emancipazione’), sarebbe stato il giorno corrispondente al Diwali.
Mi sono venute allora in mente le tante festività che avvengono in diversi contesti in corrispondenza di questo periodo: Halloween, Ognissanti. Il che mi fa pensare a questi festeggiamenti come a ‘Frammenti di un insegnamento sconosciuto’, superstizioni, ovvero frammenti di nozioni superstiti di qualche tradizione più antica, di qualche oggettiva e perduta tradizione primordiale.
Un altro dettaglio che mi ha fatto pensare alle tradizioni perdute è questo: mi hanno raccontato che, fino a qualche anno fa, poi la memoria di questo piccolo rituale si è perduta, alle tre o quattro di mattina del giorno dopo il Diwali (oggi, adesso), una donna bussava alla tua porta offrendo del sale. Non sale macinato, hanno specificato, ma nella forma originaria, in cristalli. Si accettava il sale e si dava in cambio alla donna qualche soldo, del cibo o qualcos’altro, senza obbligo.
Qualcosa nel mio centro emozionale si è acceso a questa immagine e ho cominciato a ricamare sul suo possibile significato; ma siccome in questa sede cerchiamo di non parlare di ciò che non conosciamo, non ne scriverò.
Apprendo inoltre stamane che, contrariamente a quanto mi aspettavo secondo ‘logica’, oggi non è il primo giorno dell’anno. Sarebbe troppo facile, giusto?
Oggi è un giorno vuoto. Poiché la luna nuova che segna il Diwali ha avuto il suo apice tardi nella giornata di ieri, allora il titolo di primo giorno dell’anno ‘slitta’ a domani.
Oggi è un limbo che non esiste. Non è dedicato a nessun Dio e non ha un significato particolare, a differenza dei giorni che precedono e seguono.
Anche questo mi ha fatto pensare a tanti dettagli, per esempio riguardo al calendario Gregoriano, quello occidentale, e alla difficoltà di armonizzarlo sia con certe festività arcaiche che ancora dipendono dal ciclo lunare; sia alla difficoltà di sincronizzarlo col moto apparente del sole. Lo stesso numero di 365, così vicino a 360 che, essendo multiplo di 6, dovrebbe essere la perfetta rappresentazione del movimento circolare del sistema solare (Le cose ‘tonde’ si misurano con multipli di sei), sembra contenere quei 5 giorni in più, come degli stranieri imbucati a una festa, che addirittura aumentano nell’anno bisestile, di cui non si sa bene cosa pensare.
Poiché non esiste, questo giorno è prezioso, è libero da certe leggi. Il ciclo annuale è profondamente legato alla legge d’ottava. Lo sa chiunque sia spinto a buoni propositi per capodanno: si fa concludere la fine di un ciclo col cessare certe abitudini e tendenze, e l’inizio di quello nuovo per imprimere una nuova direzione.
Perché qualcosa nasca, è necessario che qualcos’altro muoia. La nostra riluttanza al morire, anche di piccolissimi, insignificanti dettagli, è una delle cause del nostro sonno. Credo che per molti sia chiaro, almeno emozionalmente, che se non ’svuoto l’armadio’, non sarà poi possibile riempirlo con le cose che desidero - questa è una legge e vale a molti livelli.
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