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Immagine del redattoreIl Ricordo di Sé

il ritratto immaginario

(di Vale Lama)

Per alimentare l’illusione di avere un’identità, la macchina costruisce nel tempo un ritratto immaginario, ovvero una proiezione emozionale di noi stessi, che è in sostanza un insieme di ciò che vorremmo essere e di ciò che pensiamo di essere.

Sono simpatico o intelligente, una persona decisa o piuttosto timida, ho certi valori e credo che alcune cose siano giuste, amo i miei figli e per questo li educo in un certo modo, frequento questi amici verso i quali nutro affetto e stima, oppure nonostante a volte li trovi sgradevoli, ma del resto nessuno è perfetto; anche io ho alcuni difetti, a volte mi arrabbio troppo per alcune cose o sono troppo indulgente su altre, ma in fondo lo faccio per buoni motivi. Credo che gli altri a volte non mi considerino quanto meriterei, avrei tante cose da dire ed esprimere, se solo me ne fosse data l’opportunità, oppure l’opportunità me la prendo e basta, perchè è così che si deve fare ... e via discorrendo.

Come un ritratto fotografico, un quadro che mostra la nostra immagine, il nostro ritratto immaginario copre la vista di ciò che in realtà siamo, la nostra essenza, le caratteristiche, i gruppi di io senza un padrone, per offrirci invece quella di un essere umano dotato di un certo spessore e significato, soprattutto dotato di una volontà e della capacità di fare.

Il ritratto immaginario ci permette di descriverci agli altri e a noi stessi, di trovare un apparente filo conduttore nella nostra vita, abbastanza verosimile da farci immaginare di stare vivendone una.

Pirandello in Uno, nessuno e centomila, racconta nel suo stile tragicomico la caduta del ritratto immaginario del protagonista in modo emblematico, a partire dalla scoperta di un difetto fisico, che non sapeva di avere.

«Che fai?» mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio.

«Niente,» le risposi, «mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino.»

Mia moglie sorrise e disse: «Credevo ti guardassi da che parte ti pende.»

Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda: «Mi pende? A me? Il naso?»

E mia moglie, placidamente: «Ma sí, caro. Guàrdatelo bene: ti pende verso destra.»

...

Ora, ritornando alla scoperta di quei lievi difetti, sprofondai tutto, subito, nella riflessione che dunque possibile? non conoscevo bene neppure il mio stesso corpo, le cose mie che piú intimamente m'appartenevano: il naso, le orecchie, le mani, le gambe. E tornavo a guardarmele per rifarne l'esame.

Cominciò da questo il mio male.

...

Solo con la formazione di un centro magnetico, un uomo comincia a dubitare di questa immagine, a intuire o capire che è solo una facciata, dietro cui si nasconde altro, che inizialmente non riusciamo a vedere.

Potremmo dire che il ritratto immaginario è l’alternativa della macchina al Sé. Il sé inferiore costruisce un’identità meccanica per sostituirla al nostro vero Io.

Questa illusione è destinata a sgretolarsi, quando viene intrapreso un serio e sincero lavoro su di sé. È facile capire quindi perchè il re di fiori cerchi di difendere il ritratto immaginario con ogni mezzo possibile, in modo molto più sottile e pervasivo di quanto ingenuamente possiamo pensare. Per farlo usa mezzi come la falsa personalità, che crea una corazza intorno all’essenza, i respingenti, che impediscono agli shock di oltrepassare la corazza, l’immaginazione, che ci tiene soddisfatti nel secondo stato (quello della veglia fisiologica, ma in cui siamo addormentati nella consapevolezza).

Una persona con caratteristica di potere (che tende a imporre i propri io su quelli degli altri) continua a soffrire di non avere amici e si lamenta che gli altri non abbiano voglia di fare cose insieme a lui, accusandoli di essere pigri o poco avventurosi. Così continua ad alimentare il proprio ritratto immaginario di persona forte e disponibile, ma circondata da persone mediocri.

A volte scegliamo un ritratto immaginario al ribasso, di autodeprecazione o autocommiserazione, e il mio sospetto è che sia una difesa contro la delusione. Se ci abituiamo a pensare che in fondo valiamo poco, sarà meno probabile che il nostro ritratto immaginario venga messo in discussione da un fallimento. A tanto è disposto il sé inferiore.

Negli ultimi anni, il lavoro sul ritratto immaginario ha richiesto per me particolare attenzione e ho cominciato a capire quanto sia insidioso. L’inizio di questa nuova fase è fissato nella memoria in una notte in cui non riuscivo a dormire, tormentata da una sensazione angosciosa per via di una prova che avevo il giorno dopo. A un certo punto una voce dentro di me ha detto: “Lo senti questo? È la tua paura di perdere il tuo ritratto immaginario”. Il mio maggiordomo stava mettendo ordine e aveva chiaramente fotografato quell’emozione negativa e ciò che nascondeva.

Da allora “vedo” di continuo come la macchina cerchi di difendere il ritratto immaginario. Stiamo smantellando il risultato di anni di coperture, ma il re di fiori è pronto a ricoprire ciò che abbiamo appena scoperto, appena abbassiamo la guardia.

(Immagine: Raffaelle Monti, Schiava Circassa nel mercato di Costantinopoli (1851 circa, Wallace Collection)

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