(di Vale Lama)
Anche nella cultura occidentale c’è un grande investimento sul concetto di ‘essere se stessi’.
Eppure, per qualcuno che non conosce ‘se stesso’ che cosa potrà significare?
Ho osservato che ogni volta che la mia macchina cerca di interpretare l’essere se stessi, fa questo: proietta il suo migliore ritratto immaginario, la brava mamma, la manager, la persona responsabile ecc., e poi si sforza di impersonarlo al meglio.
Per la macchina, essere se stessi è costringersi a recitare al meglio la parte prevista dal proprio ritratto immaginario.
Per questo nella Scuola, prima di cercare di essere qualcosa, capire o fare, cerchiamo di smantellare la falsa idea di ‘io’ che abbiamo e di osservare la macchina per comprendere che ‘io’ non sono la macchina. E forse con il tempo arriverà la comprensione che ‘Io’ sono quello che è presente alla mia vita, o meglio alla vita, così com’è.
Questo cambio di prospettiva è una delle cose più preziose che la Scuola ha da offrire, anche se richiede il nostro lavoro personale e il nostro tempo per essere raggiunto.
Cambiando la prospettiva, la situazione si capovolge. Volendo ‘essere me stessa’, quando mio figlio farà qualcosa che non va in qualsivoglia riguardo, non cercherò di costringermi nella parte della brava mamma, imponendo il castigo esemplare, magari perdendo le staffe perché sono identificata. Osserverò i miei io, cosa mi ferisce del suo comportamento, quale centro e sua parte è stimolata, proverò a separarmi da questi io e a usare la parte migliore da coinvolgere in quel momento, il re di cuori per comprendere, la regina per l’empatia, il fante se voglio tenermi leggera, magari anche la regina motoria se c’è bisogno di una passeggiata chiarificatrice. Riguardando la situazione da un luogo più separato e intenzionale, sono certa che la mia risposta alla situazione sarà migliore, se non altro nella qualità dell’energia che potrò portare e nella possibilità di essere presente nel momento.
Parlo di situazioni normali, della vita di tutti i giorni. Ma l’idea può essere applicata anche a situazioni più straordinarie ed estreme con le dovute proporzioni, con ‘scala e relatività’.
Così, quando diciamo ‘io’ possiamo fermarci un istante per chiederci ‘io, chi?’, ‘chi sta parlando?’, la macchina o il mio Sé, e quando diciamo ‘me stesso’, possiamo chiederci ‘me stesso, quale?’, ‘quale parte di me?’, ‘quello che vorrei essere o quello che sono?’. E se non abbiamo la risposta, almeno possiamo lasciare aperto il beneficio del dubbio. Di solito, crea in ogni caso più presenza nel momento.
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