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Il visibile e l’invisibile

  • Immagine del redattore: Il Ricordo di Sé
    Il Ricordo di Sé
  • 23 mar
  • Tempo di lettura: 2 min

In India esistono numerose raffigurazioni del dio Krishna che suona il flauto, nella sua tipica posizione giocosa e rilassata, in piedi con una gamba ripiegata.


Krishna è un tipo di ‘malandrino divino’, che scherza e si intrattiene con le ragazze. Come Orfeo, quando suona il flauto sia le persone intorno che gli animali, particolarmente le mucche, si fermano ad ascoltare incantati. Il suo è un canto divino, che proviene dai Centri Superiori, e i mondi umano e naturale si inchinano e obbediscono. È ciò che succede all’uomo conscio, dove il ‘padrone’, la consapevolezza, suona la sua musica; e le funzioni - corpo, pensiero ed emozioni - seguono.


Viene solitamente raffigurato con la pelle di colore blu scuro. A una recente visita al Calico Museum di Ahmedabad, qualcuno ha chiesto come mai questo colore bizzarro. La risposta della guida, un’anziana signora con toni da profetessa, è stata che il molte raffigurazioni puoi vedere il gioco di contrasti tra due colori: terracotta, che rappresenta la sostanza, il mondo inferiore fatto di ‘cose’ - e il blu, che rappresenta l’aria azzurra del cielo, meno materiale e più rarefatta o, ancora di più, il blu scuro profondo del cielo stellato oltre l’atmosfera, buio e misterioso.


In quel museo ho visto qualcosa che non dimenticherò.


Si tratta di un Pichwai (i Pichwai sono raffigurazioni su tessuto, molto ornate e preziose, destinate ad essere appese a un muro come sfondo per una scultura). La scena era, per molti versi, la solita che avevo visto in tante raffigurazioni di Krishna. Le ‘Gopi’ le fanciulle, ascoltano la musica e accennano una leggera danza estatica. Le mucche procedono lentamente verso il centro della raffigurazione, là dove dovrebbe esserci Krishna. Mai si vedranno delle mucche così emozionali come in questo tipo di immagini; altrettanto estasiate delle fanciulle, entrambe rappresentano la parte più alta del centro emozionale, quella che nella nostra scuola chiamiamo il ‘Nove di Cuori’. Ma lui non c’è. Al suo posto un albero, ricoperto di foglie e fiori.


Il nostro sguardo passa da un dettaglio all’altro, da un gesto di fanciulla all’espressione di una mucca rivolta beata verso l’alto, finendo sempre inevitabilmente al centro, dove tutti guardano; all’albero centrale con i suoi fiori. Una sensazione di incompletezza ci invade: tutti sentono una musica che noi non sentiamo, vedono una divinità che noi non vediamo. E a quel punto, in modo molto graduale, cominciamo a vedere. L’albero stesso è Krishna. La posizione dei fiori indica molto sottilmente il tronco, le gambe accavallate, le braccia sollevate a reggere il flauto.


La divinità è qui. È sempre qui; quando non è avvertita è perché noi non sappiamo vedere.

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