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Immagine del redattoreIl Ricordo di Sé

immaginazione

(di Jeanne C.)

Quando sentiamo parlare per la prima volta dell’idea di essere presenti, ci sembra molto familiare, molto semplice, e molto desiderabile. Chi mai vorrebbe essere estraneo alla propria vita? Chi non desidera essere pienamente vivo durante ogni momento che passa, piuttosto che mettere insieme dei riassunti ingarbugliati messi insieme dopo il fatto, come fossero reportage giornalistici da terre lontane? Troppo spesso le nostre vite appaiono come qualcosa che ci è accaduto mentre la nostra attenzione era rivolta altrove.

Così cominciamo, pieni di determinazione, ad essere presenti. E, meraviglia, ci riusciamo, per qualche secondo alla volta. Tuttavia, nel proseguire, ci rendiamo conto di un’altra forza, scollegata alla presenza, che quasi continuamente nasconde il momento vivente in noi. Ci ritroviamo alla deriva, a dimenticarci dei nostri sforzi, o ci svegliamo ritrovandoci a recitare a noi stessi “Sii presente, sii presente”, mentre, guidando, abbiamo appena perso l’uscita dell’autostrada.

Di che forza si tratta, e dove finiamo quando andiamo ‘alla deriva’?

Una risposta è: scompariamo nell’immaginazione.

“La Realizzazione non è ottenuta col procedere, ma soltanto con il restare immobili, non col pensiero, ma col cessare del pensiero.” Tripura Rahasva, testo Indu.

“Il cercatore non ha sentiero se non il rimuovere tutto ciò che conosce e sedersi col cuore vuoto, con Dio, nella presenza.” Ibn Arabi.

“Non pensare a ciò che può essere pensato, e non pensare a ciò che non può essere pensato. Quando uno non pensa al pensabile né all’impensabile, il vuoto sarà percepito.” Gampopa.

“La mente non può fare alcun progresso nella preghiera se non pone l’uomo interiore in ordine facendo sì che i pensieri cessino di girare e rigirare.” Esichio di Gerusalemme.

Se ascoltiamo le nostre menti indaffarate, realizziamo che non siamo quasi mai in quiete. C’è un flusso costante di parole, come un rumore di fondo, che continua che ce ne rendiamo conto o meno. La voce continua anche quando non c’è nessuno che ascolta. Peter Ouspensky la chiamò “attività incontrollata della mente”. Ogni tradizione spirituale riconosce questa forza come ostacolo primario. E pur avendo un posto legittimo nel nostro mondo interno, l’immaginazione non svolge alcuna funzione utile.

La differenza tra pensiero e immaginazione è semplice. Il pensiero è intenzionale e sotto il nostro controllo - può essere creativo e può produrre risultati pratici. Il pensiero richiede un certo grado di sforzo e direzione, persino per organizzare una risposta alla semplice domanda: “Cosa metto in valigia per questo viaggio?” Serve pensiero (attività controllata della mente) per leggere questa pagina attentamente. L’immaginazione, d’altra parte, è accidentale, associativa, procede a caso, ed è priva di controllo. Non è possibile essere in immaginazione intenzionalmente. Provate, per esempio a ‘pensare’ il vostro sogno ad occhi aperti preferito.

L’argomento dell’immaginazione è sempre il passato o il futuro. Non è possibile essere in immaginazione riguardo al presente - persino se il dialogo interno sta commentando ciò che vediamo o come ci sentiamo ora, è sempre ‘una battuta’ in ritardo rispetto alla nostra percezione. È una legge a cui siamo soggetti, lo stato naturale dell’uomo dormiente. Se non stiamo facendo uno sforzo per dirigere i nostri pensieri, o per fermarli, siamo in immaginazione. È il nostro modo naturale di vivere.

“Se la nostra mente è inesperta nella pratica del vigilare con sobrietà, si attacca immediatamente al suggerimento che si presenterà e inizierà a conversare con esso.” Esichio di Gerusalemme.

“Quando la preghiera ha inizio, il diavolo ti fa pensare a cose piacevoli e a cose desiderate, e ti ricorda bisogni che avevi dimenticato.” Il Corano.

“Quando le persone parlano, la loro prima affermazione spesso ci toglierà fuori dall’immaginazione, e a quel punto dovremo chiedere loro di ripetere ciò che hanno detto, poiché siamo ora più svegli e possiamo riceverlo.” Robert Earl Burton.

Di tanto in tanto ospitiamo articoli di altri studenti della nostra scuola, a cui abbiamo chiesto se hanno un messaggio che vogliono trasmettere al centro magnetico delle persone che stanno iniziando a considerare l’idea di un lavoro spirituale.

Oggi, la seconda e ultima parte del testo di Jeanne su: immaginazione.

Verificare l’immaginazione, imparare ad osservarla, è un gradino. Un altro gradino è cominciare a provare avversione per essa. Cosa c’è di così terribile nell’essere in immaginazione? I nostri pensieri ci intrattengono, e così il flusso di giudizi e impressioni che viene attivato da ciascuna impressione. Possiamo essere così arguti, nella nostra mente! La nostra immaginazione può essere bella, o nobile, può essere tremendamente divertente, e a volte può essere orripilante, come se ci fosse un torturatore che si annida nelle nostre menti. E qui sta il punto dolente: non possiamo scegliere - semplicemente avviene in noi. La nostra mente non è nostra.

Ma anche se fosse continuamente piacevole, l’immaginazione ci sarebbe comunque nemica, poiché forma una barriera tra noi e la silenziosa e vibrante realtà del presente. È la grande menzogna - poiché è il mezzo con cui creiamo una realtà immaginaria, una ‘realtà’ in cui possiamo credere di controllare il nostro mondo, in cui siamo al centro del mondo da noi creato.

L’immaginazione è incessantemente intenta a tessere la tela della nostra idea immaginaria riguardo noi stessi. Se qualcuno ci critica - immediatamente inizia un lavoro di riparazione. Torniamo e ritorniamo all’argomento nella nostra mente. Pensiamo a quanto sbaglia quella persona, e a tutti i motivi per cui è nel torto. Oppure giudichiamo noi stessi ed entriamo in un familiare stato di sconforto - “Ecco, l’ho fatto di nuovo.” Oppure rivediamo la scena in replay ancora e ancora nella nostra mente, alterandola pixel dopo pixel ogni volta, così da riuscire alla fine a sostituirla con un ricordo photoshoppato - abbiamo censurato il nostro proprio passato.

Ci sono tantissimi modi per modificare o ignorare la realtà. Curiosamente, tutte queste reazioni richiedono immaginazione - richiedono parole che galoppino nella nostra mente.

Qualsiasi forma prenda l’immaginazione, lo scopo è il medesimo - mantenere uno status quo psicologico - riportarci al confortevole e al familiare, e coprire la strana intrusione della realtà, del presente, nel quale “Noi conosciamo, così come saremo conosciuti.” Questa ruota di parole che gira incessantemente nelle nostre teste è in se stessa la nostra falsa identità - la Maya a cui cerchiamo di sfuggire.

“La nostra vita è la creazione della nostra mente.” Budda.

“Immaginiamo noi stessi, in verità, e non siamo ciò che immaginiamo di essere.” Peter Ouspensky.

“Bisogna trovare la realtà più interessante della propria immaginazione.” Robert Earl Burton.

“Colui che non esamina il lavorio della propria mente deve, necessariamente, essere infelice.” Marco Aurelio.

Fortunatamente, la nostra più grande difficoltà si dimostra la nostra migliore opportunità poiché, col lavorare sull’immaginazione, lavoriamo su tutti gli ostacoli alla presenza. Le nostre opinioni e giudizi, ogni sorta di emozioni negative come rancore, autocommiserazione, autodeprecazione, e indignazione, tutte le debolezze come l’avidità, o la paura, o la vanità - ognuna si manifesta internamente come immaginazione. Togliete le parole, il dialogo interiore, e queste manifestazioni negative si indeboliranno e crolleranno. È una meravigliosa scorciatoia.

E tuttavia può essere profondamente scoraggiante. Mantenere il campo della nostra attenzione e giungere a una mente quieta anche solo per trenta secondi è un grande risultato. Sembrerebbe trascurabile. Ma, mediante l’elegante economia del lavoro esoterico, l’intenso sforzo richiesto per acquietare la mente, in sé porta altri frutti - coraggio, umiltà, distacco, disciplina. Ci allena a cominciare ad accettare la nostra propria morte - la morte della nostra identità immaginaria. E disvela il silenzioso, meravigliato testimone che può sopravvivere a quella morte.

È cruciale distinguere correttamente tra lo stato di presenza e il lavorio della nostra immaginazione; altrimenti è possibile che stiamo semplicemente sognando di essere presenti.

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