Torno oggi da un viaggio in India, intenso e meraviglioso.
Poiché non sono andato da turista, ma per la mia scuola, la ‘triade’, ovvero il gioco delle tre forze, attiva, passiva e neutralizzante, si è svolta in modo oggettivo e utile a tutti.
Tralascerò di descrivere le innumerevoli attività di scuola con gli altri studenti, e anche l’arte meravigliosa e i tanti esempi di lavoro cosciente di scuole del passato che hanno abitato questo incredibile angolo della terra. Voglio solo menzionare un incontro aperto che ho tenuto a fine anno.
Gli studenti avevano pubblicizzato bene l’evento e sono intervenute più di cento persone. In aereo pensavo all’ironia della situazione, un occidentale che va nel luogo esoterico per eccellenza non per ascoltare ma per dire, per raccontare di cose spirituali.
Ma una volta lì, è stato evidente che queste persone avevano bisogno di ascoltare ciò che avevamo da dire né più né meno che in Italia o da altre parti dove sono stato. C’era l’uomo che aveva scritto dei libri sull’argomento e voleva conoscere le mie ‘credenziali’, come mai mi trovassi lì in cattedra, in posizione di spiegare. Gli ho risposto che gli avrei detto chi sono e cosa ho fatto, ma solo alla fine, così da non influenzare il suo ascolto con opinioni su status e prestigio. C’era un uomo con tunica e copricapo immacolati, che scalpitava per parlare e, quando gli veniva data la parola, argomentava con una veemenza tale che era evidente - a me come a tutti gli altri presenti - il livello di identificazione in cui si trovava, e non c’era bisogno di ribattere. C’era il signore in prima fila che, mentre parlavo di identificazione e di come ad esempio il cellulare sia una trappola per l’attenzione in cui ci perdiamo continuamente, era evidentemente perso, profondamente immerso nel suo telefono, tanto che quando gli ho chiesto: “È interessante?” non mi ha nemmeno sentito, e si è scosso soltanto alla risata di tutti i presenti. Sembrava una scenetta organizzata (e forse organizzata lo era, ma non da noi). C’era uno con un turbante variopinto che è intervenuto diverse volte in tono piuttosto polemico e poi, alla fine, mi ha detto commosso in privato: “Io voglio entrare nella vostra scuola.”
Mentre la serata si svolgeva, ho sentito in me le parole del mio maestro che dice che fin dai tempi preistorici l’umanità ha conosciuto un solo problema - l’immaginazione - e una sola soluzione - la presenza.
Alla fine ho dato la parola a una studentessa della mia scuola che, con parole semplicissime, ha parlato della presenza, da uno stato di presenza. Non c’era bisogno di convincere nessuno: tutto si svolgeva in modo evidente, trasparente. Lo stato era percepibile. Il silenzio, l’attenzione e la meraviglia intorno a lei era palpabile. Nonostante la sala affollata, l’aria condizionata spenta perché si sentisse, il miracolo è accaduto, siamo riusciti ad essere, come da suggerimento del mio maestro, “Una terza forza positiva.”
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