L’atteggiamento dell’indagatore
- Il Ricordo di Sé
- 16 lug
- Tempo di lettura: 3 min

Una delle primissime cose che chi si addentra in questo lavoro scopre, è l’impossibilità di pensieri come: “Io sono una persona onesta, uno che dice la verità.”
Non c’è un ‘io’ che possa vantare una simile unità da poter essere descritto con una frase, un atteggiamento singolo. Esiste solo un ‘io’ del momento, che viene spazzato via e dimenticato dopo pochi secondi.
Se penso ad alcune delle mie scelte, anche molto recenti, non so cosa mi abbia spinto a fare quello che ho fatto. Quando una possibile ragione mi viene in mente, subito qualcosa in me scatta e comincia a dubitarne: “Ma ne sei certo? Non potrebbe essere che le cose stiano in altro modo”?
Ho appreso la fragilità delle mie spiegazioni, dei miei modelli mentali. Quando mi spiego qualcosa, so di avere costruito un’intelaiatura terribilmente limitata e provvisoria (come quelle strutture che si usano in edilizia in paesi come la Tailandia, lunghi pali di fragili canne di bambù, che ci si chiede se possano davvero reggere il peso di un paio di persone).
Non può essere che così. Ho appreso a non considerare le mie costruzioni come “verità”, a non affezionarmi troppo ad esse. Utilizzarle, ma allo stesso tempo essere pronto a sostituirle con qualcosa di meglio, come si fa con una lampadina bruciata. Per usare il vocabolario della quarta via, a non identificarmi con esse. È bene che il mio senso di identità sia sempre ben separato da qualsiasi opinione - specialmente da quelle che mi appaiono inoppugnabili e virtuose.
Ogni tanto queste costruzioni vanno riviste - e aggiornate, alla luce delle nuove cose che so, della nuova persona che sono.
Ogni volta, l’umiliante verifica che, in qualche modo, sino ad ora ho mentito a me stesso.
Questa pagina Facebook è al proposito estremamente istruttiva. In otto anni di conversazioni con persone interessate in varia misura a questo lavoro, ho appreso quanto le opinioni siano come vele in grado di portare la nostra nave a est o a ovest.
Ho imparato a sostituire l’indignazione (Ma come fa a dire o chiedere una cosa del genere? Allora non ha letto; e, se ha letto, non capisce niente), con l’atteggiamento dell’indagatore. “Cosa lo porta a dire questo? Quali conoscenze, atteggiamenti, tipo di macchina”? In questo modo, ho imparato tanto.
Una cosa che ho imparato, è che più abbiamo forti opinioni, più certe comprensioni ci sono precluse. La fluidità è un attributo fondamentale ai fini di una vera comprensione.
Una seconda, che niente è innocente. Qualsiasi sforzo che potremmo fare ma manchiamo di fare, anche minuscolo, si ripercuote in aree apparentemente lontanissime, e con conseguenze potenzialmente enormi.
Una terza, che sforzandomi di comprendere la persona, utilizzando tutta la (scarsa) capacità di empatia che ho, non solo riesco a farmi capire da questa, ma attraverso una serie di irritazioni istruttive, che mi rivelano molto di quello che è la mia macchina.
Una quarta, che non serve contrapporsi. Non funziona, dato che la legge del tre è inesorabile: ad ogni prima forza si contrappone una forza contraria. Occorre comprendere perché una persona dice quelo che dice, pensa quello che pensa e, a quel punto, offrirle un dolcetto, un pezzetto di pane, qualcosa che sia reale e possibile per lei e lasciare che la utilizzi come può e come vuole - in altre parole, fornire una terza forza positiva e abbandonare l’idea che possiamo migliorare la comprensione di un altro così come possiamo modificare la forma di un vaso d’argilla.
La considerazione esterna è parlare a chiunque come sto imparando a parlare con il mio nipotino di quattro anni. Con amorevole rispetto, senza credere troppo ai suoi io, alla loro realtà o accuratezza, correggendolo laddove è disponibile ad accettare una mia correzione col sorriso, lasciando a tempi migliori qualche critica che non sarebbe disposto ad accettare oggi, dimostrando di credere ai fantasmi e agli amici immaginari che dice di vedere, e allo stesso tempo mostrandogli altre “realtà’, semplici cose che ha davanti agli occhi: un uccello, un albero.
Lo stesso atteggiamento, beninteso, si può rivolgere alla propria macchina che è, a tutti gli effetti, un ‘altro.’ È strano, ma possibile, considerare sia me che il mio interlocutore come due persone poco affidabili e, allo stesso tempo, giungere a qualcosa.








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