La brevità degli ‘io’
- Il Ricordo di Sé
- 20 ago
- Tempo di lettura: 3 min

Immaginate un giocatore di ping-pong che si ricordi di stare giocando una partita soltanto una volta ogni due anni (o ogni due mesi, o ogni due ore, è lo stesso): questo giocatore non riuscirà mai a giocare la sua partita, poiché è necessario che osservi il percorso della pallina attimo per attimo, senza perdersi.
Sentiamo spesso, nei commenti ai nostri post, o nelle discussioni durante i nostri incontri aperti, la descrizione dei ‘molti io’ come delle macro-entità, personalità o maschere, che si presentano in determinate circostanze: una per quando sono al lavoro, una con gli amici, una con la compagna o il compagno, e via dicendo.
Benché sia una utile osservazione verificare che si è diversi in diverse circostanze, questo non è ancora il vedere i molti io.
Gli io sono brevissimi, e, per la maggior parte, perfino troppo istantanei per poter essere verbalizzati.
Ripeto la definizione da ‘manuale della quarta via’: ogni tre secondi i nostri centri (istintivo, motorio, emozionale e intellettuale) generano un ‘io’, ovvero una risposta a uno stimolo.
“Ho caldo”.
“Ma David Attemborough è ancora vivo?”
“Prendo il bicchiere”
“Alzo il bicchiere e lo porto alla bocca”
“Buono questo vino”
“Mi ricorda quello che ho bevuto a Napoli con Mario.”
“Appoggio il bicchiere.”
“Oops, troppo forte.”
“Il tovagliolino si è bagnato.”
“Qualcuno ha aperto una porta dietro di me, sendo fresco alla schiena.”
“Le piastrelle di questo pavimento saranno trenta centimetri di lunghezza.”
“Vedo lo schermo della televisione.”
“Conosco questa persona.”
“Il mondo sta andando a rotoli.”
“Fuoco dell’indignazione nel plesso solare.”
“Un altro sorso? Un altro sorso.”
“Potrei ordinare qualche bruschetta.”
E via dicendo. L’elenco che ho fatto, che corrisponde a forse una ventina di secondi della vita di una persona, è tremendamente parziale. Molti altri io sono avvenuti, ma non riesco a verbalizzarli: ad esempio tutto il complicatissimo lavoro muscolare e di esperienza motoria richiesto per sollevare un bicchiere e portarlo alla bocca è fatto di molti io.
Ieri pomeriggio ero in aeroporto, e un ‘io’ mi ha fatto pensare a quanto questo lavoro mi abbia reso consapevole dell’ambiente circostante, anche nei miei momenti ‘peggiori’, quando sono stanco come ieri, e non sto vivendo un momento particolarmente interessante.
Della lunga attesa al Gate ricordo moltissimo. I volti delle persone, le loro espressioni; e, per buona parte, ero consapevole in diversi casi del perché facevano quello che facevano.
Quando ho deciso di ordinare un caffè e un panino, mi sono seduto a un tavolo da sei, immediatamente occupato nell’altra estremità da una famiglia di tre persone.
Immediatamente ho ‘sentito’ (col centro istintivo), che tra me e loro c’era antipatia. Per esprimersi come avrebbe fatto Gurdjieff, le nostre ‘emanazioni’ non erano compatibili. Per cui non rivolgevo a loro lo sguardo, che era piuttosto diretto dalla parte opposta. Per due volte la signora, in inglese, si è dovuta alzare e ogni volta ha borbottato ad alta voce cosa stava per fare: “Cerco un bidone della spazzatura”; “Altro zucchero.”
Mi era chiaro il perché lo facesse: per considerazione interna. Anche se non lo sapeva (e, se glielo avessi chiesto, avrebbe negato), stava spiegandomi che c’era un motivo per cui entrava nel mio campo visivo. Nonostante i tre non avessero dato segno di contemplare la mia esistenza, tuttavia i loro centri istintivi l’avevano rilevata, e provavano lo stesso disagio del mio.
Tutto questo sfoggio di antipatie, mi era chiaro anche questo, era dovuto alla fase di luna nuova, che rendeva gli ‘io’ più estremi.
Nei cinque minuti che ho passato con loro ho avuto decine e decine di osservazioni come questa, che vi risparmio.
Il lavoro di scuola mi ha reso più sensibile alla piccola scala in cui avvengono le cose; ai rimbalzi singoli della pallina da ping-pong.
Ma a cosa mi serve tutto questo osservare minuzie? Che scopo ha, alla fine?
Principalmente, a smascherare impostori.
A riconoscere ogni ‘io’, per quello che è: giusto un io. Non tutto me stesso, non una parte importante di me, non un qualcosa di cui andare orgogliosi o vergognarsi - ma qualcosa che si colloca su un piano di realtà che non esiste.
“Non siete altro che un mazzo di carte!” Disse Alice, un momento prima di svegliarsi.








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