Rimandare a domani è uno degli aspetti più classici della meccanicità.
Basta che mi guardi intorno, che scorga le tracce di ottave che si sono fermate in qualche intervallo- il maglione non piegato, ma buttato sulla sedia. I documenti da mettere via, ancora sul tavolo. Il pane, che ho dimenticato di comprare. Le email a cui non ho risposto ieri. Basta risalire al perché queste ottave non sono state completate: perché è arrivato un altro io a interrompere, distrarre, o dissuadere.
Poiché siamo frammentati, non abbiamo volontà.
Secondo il principio dell’ottava, ogni azione non portata a termine diventa un debito che prima o poi si dovrà pagare. Se troppo debito si accumula, certe cose diventeranno impossibili.
È un’idea semplice, ma quasi sempre ci sfugge la sua portata.
Quando ci sembra di riuscire in qualcosa - se osserviamo imparzialmente lo vedremo - è perché le circostanze ci hanno buttato lì, come un naufrago spiaggiato.
Quando si tratta di ottave ascendenti - e quella del ricordo di sé non ha nulla di meccanico, perciò è la più difficile di tutte - si ha speranza di riuscire solo a tre condizioni:
- aiuto esterno
- motivazione fortissima
- fortuna.
Ogni settimana qualcuno dei lettori di questo gruppo mi domanda qualcosa.
Si tratta sempre di informazioni (quasi sempre informazioni già presenti in post passati), non di domande su come accrescere il desiderio di essere presenti. Su come essere meno distratti.
In genere, non abbiamo bisogno di sapere di più, ma di applicare quello che sappiamo. Soltanto applicandolo, le prossime domande che ci porremo saranno quelle giuste. Altrimenti sarà un girare in tondo, sempre allo stesso livello.
Ad ogni esercizio, varie persone si fermano al primo ostacolo: “Mi dimentico”. “Non sono riuscito a...”
È possibile domandarsi: se si fosse trattato di vita o di morte, mi sarei fermato a questo ostacolo, o avrei trovato il modo?
E: quanto è importante questa faccenda della presenza? Sono sicuro che non sia questione di vita o di morte anch’essa?
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