Gurdjieff definisce la psicologia umana come una macchina stimolo-risposta.
Al di là di quanto ci risuoni essere definiti come 'macchina', l'osservazione porta allo scoperto il meccanismo che ci governa: siamo fatti di molti io, ossia la voce dei quattro centri inferiori, che assumono la forma di pensieri, emozioni, movimenti, sensazioni; ognuno dei quattro centri genera io approssimativamente ogni tre secondi, la durata di un'inspirazione e di un'espirazione.
Per capirne la portata è buono realizzare quanto questo avvenga su una scala molto piccola: ogni impressione esterna o interna genera una risposta automatica che pesca dalle informazioni depositate dalla personalità (educazione, influenza del posto nel mondo in cui vivo, vissuto, ecc...) nella nostra memoria, per cui ad ogni stimolo (anche quelli più impercettibili) scaturisce una risposta automatica. Ogni risposta va a costituire lo stimolo per un'altra risposta in un flusso di associazioni senza fine di cui, senza un lavoro intenzionale, non siamo consapevoli: ho freddo, accendo il riscaldamento, devo pagare la bolletta, ho un sacco di spese questo mese, il lavoro che ho mi dà uno stipendio troppo basso, dovrei cambiare vita, Messico!, quel ristorante messicano in centro è proprio buono, vorrei andarci con Elena, chissà cosa pensa Elena di me, chissà se le piaccio...Se all'improvviso fossimo consapevoli del rumore di tutte queste voci potremmo rapportarlo al trovarsi nel mezzo di un mercato affollato di gente.
Possiamo dire che si tratta di un meccanismo efficace per farci vivere nel mondo in modo dignitoso. L'immaginazione, come flusso associativo e automatico di io, può essere considerato come un 'risolutore di problemi' più o meno futuri.
Al di là dei motivi di una tale situazione, tutto questo è alla base del nostro sonno, del vivere velati. Pensiamo di pensare, ma in realtà i pensieri sono già pensati. Pensiamo di vedere la realtà, quando invece vediamo continuamente lo stesso film che si basa sulle definizioni del mondo che il nostro soggettivo vissuto ci ha dato.
Tutto questo può essere negato, accettato in parte ('si, è vero, ma non è sempre così..'), compreso a livello teorico, o verificato nella pratica.
La verifica nella pratica richiede momenti di presenza, esperienze di realtà riconosciute come tali, che hanno lo stesso sapore di quando al mattino suona la sveglia e ci rendiamo conto che il sogno che stavamo avendo non è reale. Sono momenti in cui, accidentalmente, le associazioni si fermano, e si crea uno spazio vuoto: qualcosa di familiare è percepita, forse per un istante, senza associazioni, e la vediamo in modo nuovo, quasi strano. Ci guardiamo allo specchio e per un momento non ci riconosciamo. Abbiamo il telefono in mano e vediamo questa strana scatoletta di plastica, come lo vedrebbe un bimbo.
Il mondo diventa vivo. Poi, dopo pochi istanti, la vita ci risucchia nella personalità ed ogni cosa muore di nuovo.
"Ricordo di una volta che stavo su una poltrona fumando e guardando un portacenere. Era un comune portacenere di rame. Improvvisamente compresi che cominciavo a comprendere cos'era il portacenere, e allo stesso tempo, con un po' di stupore e quasi con timore, sentii che prima non lo avevo mai capito e che non capivo le cose semplici che stavano intorno a me...
Tutto era vivo...
Non vi è nulla di morto, gli unici morti siamo noi. Se riusciamo a restare vivi un istante, allora sentiamo che tutto è vivo, che tutte le cose vivono e possono parlarci".
P. Ouspensky
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