Abbiamo già scritto di questo argomento, ma sento che è il momento di riparlarne.
Questo papiro egizio rappresenta una scena molto raffigurata: quella della pesatura del cuore.
Il defunto, vestito di bianco, viene accompagnato dal dio Anubis (che è una figura del Maggiordomo) verso una bilancia. Lì, il suo cuore (centro emozionale, rappresentato da un vaso) viene pesato. Il contrappeso è leggerissimo, si tratta della piuma della verità. Il cuore deve risultare più leggero di questa piuma. Se dovesse essere invece più pesante, il defunto verrebbe divorato dal mostruoso dio Ammit, ippopotamo, leone e coccodrillo insieme (componenti del sé inferiore).
È una immagine di giudizio finale, analoga a quella cristiana dove l’angelo suona la tromba e i morti escono dalle tombe; alcuni graziati, altri dannati. In questo caso, la pesatura si presenta come la valutazione di una intera vita. Eppure mi viene in mente ciò che ho scritto la settimana scorsa, da Cristo: “Vegliate, poiché non conoscete il giorno, né l’ora.”
Se guardo alla mia vita in retrospettiva, posso riconoscere alcuni punti fondamentali che le hanno impresso direzione; momenti in cui avrei potuto fare altre scelte, che avrebbero portato in direzioni diverse.
Ora posso vederlo, ma allora mi era invisibile. Nel momento di compiere quella decisione che oggi mi appare fondamentale, non sapevo si trattasse di una scelta importante: qualche volta non sapevo nemmeno si trattasse di una scelta, semplicemente percorrevo quella che mi pareva essere l’unica strada possibile. Non avevo nemmeno idea di quale fosse il percorso che stavo compiendo, lo vedo solo ora e, probabilmente, in parte.
Mi sembrava l’unica strada poiché, attraverso una serie di piccolissime scelte apparentemente insignificanti, mi ero messo in un luogo in cui un solo esito era possibile; come un pesce che, centimetro dopo centimetro, si infila sempre di più dentro una nassa, fino a che nessun movimento è più possibile.
Di nuovo Cristo: “Ogni capello è contato.” Nessuna scelta è insignificante. Riuscire a essere presenti mentre si scrive o si legge questa riga di testo può avere conseguenze incalcolabili. Ricordo la storia (che a una verifica si rivelò inesatta, ma in questa sede non importa) che mi fu raccontata da una tassista a Miami riguardo allo zoo locale, dove i guardiani scoprirono che la gabbia di una scimmietta non si chiudeva bene. “C’è tempo, la ripareremo uno di questi giorni, tanto mica è un animale pericoloso, lascia che per una notte o due se ne vada in giro.” La scimmietta quella notte uscì e aprì la porta della gabbia del leone (una delle componenti di Immut), che fece una strage.
Sono gli avvenimenti senza importanza che faranno di noi la persona che supera o fallisce il test della pesatura del cuore. E il cuore viene pesato sempre, ora. Vinciamo se lasciamo andare; se riusciamo in quello che il nostro maestro definisce “Non credere agli ‘io’”.
Mi torna in mente un film di guerra che ho visto da piccolo. Tra i soldati di fanteria protagonisti della storia, di cui non ricordo molto, ce n’era uno, un greco mi pare, che soffriva molto gli stretti scarponi militari. Quando scendeva la notte, mentre gli altri dormivano senza spogliarsi, lui se li toglieva, con un’espressione di beatitudine. In quanto macchina venusiana, lo comprendevo fin troppo bene. Arriva una notte in cui questi soldati dormono in trincea. I suoi scarponi sono, come sempre, allineati sul bordo di questa trincea. Un improvviso attacco dei soldati nemici. Tutti rimangono nella buca, tranne il greco che prova ad allungarsi veloce per prendere gli scarponi, e viene freddato. Nessuna scelta è innocente.
Non mi riferisco semplicemente alle nostre azioni, all’essere ordinati invece che disordinati; onesti invece che disonesti, attenti e non disattenti. Parlo soprattutto della qualità del nostro pensiero. Se non ci sforziamo di essere nei re dei centri, di coinvolgere il centro emozionale nel nostro pensare e il centro intellettuale nel nostro sentire compiremo scelte sbagliate, e un bel giorno una di queste scelte sarà fatale.
Da Aristotele: “Noi siamo ciò che facciamo ripetutamente. Perciò l’eccellenza non è un’azione, ma un’abitudine.”
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