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Immagine del redattoreIl Ricordo di Sé

La pronuncia inglese

Perché parlo della pronuncia inglese in uno spazio come la nostra pagina? Perché, come ogni cosa che ci accade, può essere utile a mostrarci la nostra meccanicità e soggettività e a fornire uno spunto di lavoro.

Ho vissuto alcuni anni negli Stati Uniti. Già prima di allora parlavo quello che reputavo un buon inglese, per via del mio lavoro commerciale che mi portava continuamente all’estero. Una volta iniziato a vivere lì, ho cominciato a vedere come mai non riuscivo a pronunciare correttamente certe parole.

La lingua inglese ha diverse regole di pronuncia rispetto a quella italiana; ovvio. Se me lo chiedono, ‘lo so’. Ovvero, il mio centro intellettuale afferra l’idea che esistono diverse lingue e che ciascuna ha sue regole autonome e diverse dalle altre. All’atto pratico, però, ho scoperto che altre parti di me non conoscevano affatto questa idea e altre addirittura la combattevano con forza. Tanto più che non mi confrontavo con una diversità appresa in una scuola, in un corso di lingua, con spiegazioni teoriche che appagano il centro intellettuale - ma sul campo, sentendo persone pronunciare questa o quella parola.

Prendiamo la lettera ‘i’. A volte si pronuncia ‘ai’, e questo mi era facile assorbirlo. Il più delle volte, però, si pronuncia in una maniera che per un italiano è piuttosto strana, e che graficamente per come suona al mio orecchio potrei scrivere ‘e’, o anche ‘huh’, o addirittura mh, qualcosa del genere. Forse potrei definirla come qualcosa tra la E e la U. In questo post, la scriverò d’ora in poi col simbolo ø. Ad esempio, la parola ‘girl’, si pronuncia secondo il mio orecchio italiano gørl. Tin, tøn. Amerøca. E così via. Il nostro suono ‘i’ si scrive con la lettera E, oppure con combinazioni di due lettere, come EE, oppure EA. Come in Sea, Tea. Ma mai con la lettera i. Prima di vivere negli USA non me n’ero mai accorto - e ora vedo che questo avveniva a causa di respingenti. Diciamo che l'abitudine mi rendeva sordo a quel suono.

Una volta mi trovavo a casa dei miei anziani genitori e venne a trovarci un amico americano - che se la cavava in italiano. La conversazione cadde su Bill Clinton, che il mio amico naturalmente pronunciò: Bøll Cløndn. Mio padre non capiva, chiese due volte cosa stesse dicendo, e per farglielo capire dovetti pronunciare la parola in modo sbagliato, all’italiana. “Ah, Bill Clinton!” Disse lui. E poi, sorpreso: “Ah, loro la storpiano così quella parola.” E lì una lunga discussione su chi storpiasse e chi no.

Quando vivevo negli USA, un’amica mi disse: “Ieri siamo stati a Sensømion.”

“Dove siete stati?”

A Sensømion! Qui vicino, sulla costa.” E mi fece vedere la cartina. “Ah, Saint Simeon!” E qui mi successe qualcosa che non avevo previsto: me la presi. Ero arrabbiato con lei, con tutti gli americani che sbagliavano tutto, e pronunciavano la e al posto della i e la i al posto della e, e pronunciavano una parola in un modo se parlavano lentamente, e in un altro se parlavano veloce, e avevano una lingua assurda dove non si poteva contare su una regola che fosse una, e che se leggi ‘suite’ devi pronunciare ‘Siut’, tutto al contrario, e se scrivi ‘devil’ si pronuncia in un modo e se togli solo la d iniziale, ‘evil’ si pronuncia in tutt’altro modo, e che andassero al diavolo tutti.

Insomma, ero diventato come mio padre, me la prendevo perché loro ‘storpiano le parole’.

Questo descrive bene la mia soggettività. Per lungo tempo neanche mi accorgo che la ‘i’ non si pronuncia come da noi. Poi, quando finalmente lo registro (cioè il centro motorio assorbe l’informazione e il centro intellettuale va in cerca di una regola per prevederne l’uso in eventi futuri) ecco che appare il centro istintivo che non è assolutamente disposto a radere al suolo tutte le regole di pronuncia italiana apprese così faticosamente nei primi anni di vita e reimparare daccapo. Dietro alla mia apparente incapacità di pronunciare certi suoni c'è un rifiuto. È apparsa la più classica delle divisioni istintive, quella tra ‘noi’ e loro’, tra ciò che mi appartiene e ciò che è estraneo, tra la mia identità (il mio simulacro di identità) e ciò che la combatte. Chi desidera evolvere, deve lasciar cadere questo atteggiamento più in fretta che può.

Ancora oggi, può capitarmi di pronunciare la stessa parola in modo più o meno corretto, in modo ibrido, e in modo ‘ignorante’, totalmente italiano: e da come la pronuncio posso comprendere in che parte della macchina mi trovo.

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