Prima parte
“Voi potete essere utili a voi stessi. Poi potete essere utili agli altri. Infine, potete essere utili a me.” Così Gurdjieff, nel suo linguaggio semplice e diretto, presentava l’idea delle tre linee di lavoro. Lavoro per se stessi, prima linea; lavoro per gli altri, seconda linea; lavoro per la scuola, terza linea. Linee, ovvero catene di sforzi collegati tra loro all’interno di un ambito, allo stesso tempo slegati da quelli delle altre due linee. Uno studente può lavorare simultaneamente su una sola, su due, su tre linee, in qualsiasi combinazione. La prima linea, il lavoro per se stessi, è l’unica che può essere sperimentata, anche se parzialmente, da chi non si trova in una scuola. Studiare le idee, applicarle alla propria vita, osservare la propria macchina, darsi esercizi, provare a essere presenti, e così via. Ouspensky spiegò molto bene la necessità di tre linee e la collegò con l’idea che un vero lavoro è possibile soltanto in una scuola: è per via della legge di ottava. La prima linea, come ogni processo di questo universo, secondo la legge di ottava a un certo punto inevitabilmente si arresterà; a uno degli intervalli: mi-fa oppure si-do. Ci stancheremo, ci distrarremo, perderemo motivazione, cambieremo idea. Fatti della vita interverranno - spostamenti, malattie, relazioni - e ci distoglieranno dallo scopo, oppure lo ammorbidiranno, scenderemo a compromessi sempre maggiori fino a rendere il lavoro una finta, una parvenza, una bugia. L’idea di lavorare su tre linee simultaneamente, spiegò Ouspensky, rende possibile una continuità di lavoro. È statisticamente molto improbabile che gli intervalli avvengano simultaneamente su tutte e tre le linee. Quando la prima linea sarà in intervallo, allora verrò ‘salvato’ dal mio lavoro nella seconda, che manterrà vivo il mio contatto con lo sforzo di essere presente alla mia vita. La seconda linea, si è detto, è lavoro con gli altri e per gli altri. Qualcuno, ad esempio, vedrà che la mia prima linea si è arrestata e me lo farà notare. Quando poi sarò in intervallo con la seconda linea - voglia di non vedere nessuno, circostanze come la pandemia, che mi isolano - sarà un lavoro sulla prima o sulla terza a mantenere continuità. Tipicamente uno studente inizia con un lavoro sulla prima linea - trovandosi ad essere come il nuovo nato in una famiglia, un infante che viene nutrito e a cui si bada, poiché non è ancora pronto per dare. Ma questo non è obbligatorio: ad esempio a Ouspensky fu immediatamente chiaro che le sue capacità e competenze professionali, il suo legame con case editrici e giornali, potevano essere utili all’organizzazione del suo nuovo maestro. Decise quindi fin da subito di metterle in opera (è interessante notare che utilizzò la sua professionalità e notorietà per aiutare il gruppo e non, come avviene normalmente, utilizzare il gruppo per accrescere il proprio personale prestigio; non sarebbe stato lavoro di terza linea in questo caso). La seconda linea arriva spesso come uno shock: la rivelazione che le cose come me le ero figurate sino ad ora erano completamente sbagliate. L’incontro con gli altri prende talvolta, specialmente all’inizio, la forma di una collisione. Ma come, queste sarebbero le persone interessate a un lavoro sulla presenza? Impossibile! E questa idea, questa pratica, che ho compreso così bene e che padroneggio, come mai questi altri la praticano in modo completamente diverso? E come mai si ostinano tutti a riconoscermi questa caratteristica, questo difetto, quando dovrebbe essere chiarissimo a tutti che ne sono privo? La coesistenza di macchine diverse che si accostano al lavoro apre a rivelazioni spesso scioccanti e sorprendenti, ci rivela che il lavoro come lo avevamo inteso sino ad ora era un’illusione, o al massimo una interpretazione tremendamente parziale e soggettiva. Senza una scuola questo non sarebbe possibile: approcci diversi produrrebbero una collisione, un litigio, che finirebbe con uno scontro di interpretazioni, con una idea prevalente e un’altra sconfitta. In un ambito di scuola esiste una terza forza superiore che ricorda alle persone che la loro interpretazione è soggettiva. Soggettivo implica che nella mia visione, commisto all’oro della comprensione, ci sono metalli pesanti. Il tutto va purificato. Ed è la visione altrui che mi offre altri punti di vista. Soggettivi anche quelli, ma, mettendosi insieme, il punto di vista si allarga e la soggettività diminuisce. Il punto di vista più completo non è il mio o il tuo, ma quello che introduce più presenza. La seconda linea mi permette di ricordare che, per svegliarmi, sono io quello che deve cambiare. Se penso agli studenti che nel corso della mia vita hanno deviato il mio agire, hanno cambiato, talvolta rovesciato, la mia comprensione (in diversi modi, ma soprattutto con l’esempio silenzioso) provo un impulso che non posso che definire amore. Inoltre, il tempo del conflitto ha spesso lasciato posto a quello della condivisione dello stato di presenza. Non conosco esperienza che possa legarmi a un altro essere umano più di quella di un momento passato insieme in presenza, di uno sguardo, un contatto oculare da Presenza a Presenza, anche se non ‘conosco’ quella persona; anche se non l’ho mai vista prima e non la rivedrò mai più. L’anima cresce soprattutto così, condividendo la fiamma della presenza. Se una delle torce si spegne, le altre la riaccendono. La terza linea, il lavoro per l’organizzazione, può sembrare fredda e insignificante a uno sguardo superficiale, una sorta di volontariato: noioso, anche se forse necessario. In realtà non è così, poiché la terza linea include necessariamente la seconda e la prima. Per fare un semplice esempio, questa pagina Facebook è, per gli studenti della mia scuola, un lavoro di terza linea. Dal primo giorno a oggi, non è stato mai noioso, non c’è stato mai un momento di routine. Ho appreso molto su me stesso e sulla natura profonda del lavoro che faccio; ho ricevuto tanto dagli amici che lavorano con me; attraverso la necessità di esprimermi in un linguaggio comprensibile ho purificato il mio sapere e il mio lavoro.
Yorumlar