Ricordo di un pranzo con altri studenti, quando ero da poco nella scuola. Ero il più giovane, quindi gli altri, dalla loro esperienza, cominciarono a darmi consigli su come utilizzare la terza forza degli studenti e della scuola. Una studentessa anziana, molto marziale, si espresse verso di me in modo deciso, dicendo ripetutamente: "Show up! You have to show up!" In italiano la traduzione più adatta al contesto è quella di 'mettersi in gioco', di partecipare alle opportunità che sono disponibili. Ricordo che l'impeto con cui mi furono rivolte quelle parole mi generò un po' di fastidio, ma forse, se non fosse stato così, non me le ricorderei ancora oggi così chiaramente. Spesso ci si chiede cosa si può fare, come rendere il lavoro pratico, come uscire da un intervallo. Ci si perde a volte nella complessità del sistema, rimanendo bloccati nell'impossibilità di rispondere a quello che il momento richiede. Insieme a tecniche e atteggiamenti utili, per me il consiglio di quella studentessa rimane un punto di riferimento per la sua praticità. Mettersi in gioco apre ad altre influenze, altre persone, altri io, e si creano dinamiche che non potrebbero avvenire altrimenti. Il fare da soli, è spesso la miglior difesa del nostro sé inferiore, perché ci tiene a girare intorno nella nostra prigione immaginando di fare il lavoro. La scuola offre davvero molte opportunità per mettersi in gioco, partecipazione a incontri, viaggi per visitare studenti o il maestro, ottave di seconda e terza linea. Lo stesso principio vale per chi non è nella scuola: in un contesto di ricerca spirituale è necessario aprirsi, ricordare che se davvero si vuole un cambiamento, non si possono lasciare le cose nello stesso modo. Mettersi in gioco su questa pagina può voler dire esporsi con un commento, una domanda. 'Mettersi in gioco' mi piace perché richiama anche uno stato di essenza, che è aperta ed è curiosa, al contrario della personalità.
"La vita è un fanciullo che gioca"
Eraclito
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