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Immagine del redattoreIl Ricordo di Sé

Pane al pane e vino al vino



Prima o poi capita di incontrare qualcuno (o di essere noi stessi quel qualcuno) che dichiara, con una percepibile soddisfazione nella voce, di essere uno sincero, spontaneo, schietto, che dice pane al pane e vino al vino.


Purtroppo, se consideriamo le idee base della quarta via, sappiamo che questo è impossibile.

Innanzitutto, bisognerebbe sapere cosa è il pane e cosa è il vino. Nello stato ordinario dell’uomo, cioè l’immaginazione, questo non ci è dato. Socrate, uno degli esseri più alti che abbiano calpestato il pianeta, dichiarò di non sapere.

Nominare le cose, dire appunto ‘pane’ al pane, è un incarico molto alto e molto delicato, nella Bibbia affidato direttamente da Dio ad Adamo. E Rilke lo dice chiaramente:

Forse noi siamo qui per dire: casa,

ponte, fonte, porta, brocca, albero da frutto, finestra, –

al più, colonna, torre… ma per dire capisci,

per dire così, come neppure le cose stesse

pensavano nell’intimo d’essere.


Questo incarico può solamente essere onorato da uno stato di Presenza. Nel nostro povero stato ordinario, invece, non sappiamo riconoscere pane e vino nemmeno quando ci vengono indicati.


Dire, poi, non è un assoluto, ma implica una relazione: io non dico in generale, dico a te. Devo trovare le parole giuste per te, perché con le tue associazioni, i tuoi meccanismi, le tue comprensioni e pregiudizi, tu possa collegarti al mio discorso. Si chiama considerazione esterna, e significa che per esprimere la stessa cosa a dieci persone, occorre fare dieci discorsi diversi.


Per nostra fortuna, quando siamo piccoli, i nostri genitori non ci dicono pane al pane ma raccontano favole, (sperabilmente favole non modificate, che conservano ancora una certa purezza esoterica originaria). Le favole, come i miti, come molti libri sacri di tante tradizioni religiose, possono oltrepassare la personalità, tutto ciò che crediamo essere pane ed essere vino e, attraverso la porta dell’essenza, arrivare a toccare i centri superiori. A quel punto, qualcosa viene nominato ed evocato in noi (‘dire’ è magia, evocazione): un pane e un vino che vengono da molto lontano e da molto in alto.


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