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Parlare e mentire

  • Immagine del redattore: Il Ricordo di Sé
    Il Ricordo di Sé
  • 20 ago
  • Tempo di lettura: 3 min
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Avrei potuto scrivere "Parlare è mentire", poiché quando parliamo senza presenza mentiamo, e parlare con presenza è difficile.


Ouspensky tratta del mentire così nella Quarta Via:


"Studiando l’uomo nel suo stato presente di sonno, assenza di unità, meccanicità e mancanza di controllo, troviamo varie altre funzioni sbagliate che sono il risultato del suo stato: in particolare, il mentire a se stessi e agli altri costantemente. La psicologia dell’uomo qualunque potrebbe addirittura essere chiamata lo studio del mentire, perché l’uomo mente più di qualsiasi altra cosa; in realtà, egli non può dire la verità.


D. Vi dispiacerebbe spiegare cosa intendete per mentire?

R. Mentire è pensare o parlare di cose che non si conoscono; questo è l’inizio del mentire.


Non significa mentire intenzionalmente: raccontare delle storie, come per esempio che c’è un orso nell’altra stanza. Si può andare nell’altra stanza e vedere che non c’è un orso. Ma se prendete tutte le teorie che la gente avanza su qualsiasi dato argomento, senza saperne nulla, vedrete dove comincia il mentire. L’uomo non si conosce, non conosce nulla, tuttavia ha teorie su quasi tutto. La maggior parte di queste teorie è menzogna...

Se un uomo potesse essere descritto come un tipo zoologico, sarebbe definito l’‘animale bugiardo’."


Abbiamo ruoli, in famiglia, sul lavoro, con amici o correlati ai nostri passatempi preferiti, che ci mettono in situazioni in cui 'bisogna' sapere. Se svolgiamo una determinata professione, sicuramente ne abbiamo una certa conoscenza, ma in genere agiamo come se ne sapessimo molto di più di ciò che sappiamo in realtà. Lavorando con il vino, passo in vari ambiti come l'esperto, in realtà, se guardo bene, ne so solo qualcosa in più di altri che ne sanno meno.


Anche negli ambienti più informali sono spesso la vanità e la considerazione interna che ci fanno affermare cose che non sappiamo. Vogliamo piacere, apparire importanti, ottenere riconoscimento. È così che si forma il ritratto immaginario di noi stessi, che ci fa identificare con ciò che non siamo, e rende impossibile un lavoro sulla consapevolezza.


È interessante il passaggio da Frammenti di un Insegnamento Sconosciuto in cui gli studenti di Gurdjieff gli raccontano delle loro interazioni personali dopo un po' di tempo nel lavoro:

"Non tardammo ad accorgerci che i nostri amici ritenevano che noi fossimo cambiati in peggio. Ci trovavano molto meno interessanti di un tempo. Dicevano che eravamo diventati insipidi e scialbi, che avevamo perso la nostra spontaneità, la nostra sensibilità sempre desta, che stavamo diventando delle macchine, che stavamo perdendo la nostra originalità, la nostra capacità di vibrare...


G. rideva molto quando gli raccontavamo queste cose.


"Aspettate, diceva, il peggio deve ancora venire. Capite che cosa

significa tutto ciò? Significa che avete smesso di mentire o comunque che non mentite più così bene come un tempo: non potete più mentire in un modo così interessante come nel passato. Colui che mente bene è un uomo interessante. Ma voi avete già vergogna di mentire. Siete ora nella condizione di confessare a voi stessi che ignorate certe cose, che ormai non potete più parlare come se comprendeste tutto. Ciò equivale a dire che siete diventati meno interessanti, meno sensibili, come essi dicono. Così ora potete veramente vedere che tipo di gente sono i vostri amici. Oggi essi si rattristano per voi, e dal loro punto di vista hanno ragione: voi avete già cominciato a morire (e mise l'accento su questa parola). Il cammino che conduce alla morte totale è ancora lungo; tuttavia voi vi siete già spogliati di un certo strato di stupidità. Non potete più, in ogni caso, mentire a voi stessi con tanta sincerità come una volta. Adesso avete il gusto della verità".


Certo non possiamo smettere di parlare e comunicare, ma quantomeno, portando un po' più di presenza alle nostre parole, è possibile identificarsi di meno, verificare che le nostre credenze e opinioni sono il risultato di io cangianti e inconsistenti. Ci prendiamo così meno sul serio, e creiamo spazio per la consapevolezza.


(Nell'immagine di Duccio da Boninsegna, Gesù rimane in silenzio quando gli viene chiesto da Pilato cosa sia la verità)

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