(di Vale Lama)
Ieri è stata una giornata piena di frizione, di quelle dove perdi la bussola e ti ritrovi a raccogliere i cocci del tuo piccolo o grande disastro. Una giornata di quelle in cui ti tocca dichiarare fallimento. Osservo che, come da copione, questo si accompagna con grandi respingenti e autodeprecazione. Una fatica di prendere atto e ripartire.
Perché abbiamo paura di fallire?
O meglio, perché ho paura? in quanto le motivazioni possono essere diverse e individuali.
Quello che ho verificato per me è che la paura del fallimento è ancora una volta legata al ritratto immaginario. Sono quelli i cocci che sto cercando di raccogliere.
Si narra che nell'epoca d'oro della Silicon Valley, nel ‘rinascimento’ tecnologico, il fallimento fosse (e forse è tuttora) una fase imprescindibile del successo.
È così anche nel lavoro. L'unica garanzia che stiamo facendo un lavoro reale è fallire. E ricominciare.
Se tutto fila troppo liscio, è molto probabile che ci siamo assestati, il nostro sé inferiore è riuscito a venire a patti con il maggiordomo, lo ha preso in inganno.
Pensiamo di lavorare, pensiamo che vada tutto a gonfie vele, e proprio allora qualcosa, uno shock, un'osservazione o una fotografia di altri, ci riporta bruscamente alla realtà: stavamo dormendo.
Uno dei risvegli più bruschi è quando ci rendiamo conto che il sé inferiore ci ha dato corda fintanto che il lavoro sembrava rafforzare la macchina.
Il sig. Gurdjieff lo chiama Risveglio relativo. Ovvero quando abbiamo assimilato abbastanza idee del sistema da riuscire ad applicarle e questo ci rende più performanti, non necessariamente più svegli. Abbiamo più controllo, leggiamo meglio le situazioni, possiamo usare la conoscenza a nostro vantaggio sul piano meccanico.
La maggior parte delle persone che inizia un lavoro si ferma qui. E quando una scuola smette di offrire miglioramenti, passa a un'altra.
Se il tuo scopo, che tu lo sappia o no, è rendere la tua macchina più performante, il fallimento sarà qualcosa da evitare.
La nostra scuola ha un punto di vista diverso. Non ha importanza migliorare la macchina, se non nella misura in cui serve a eliminare ostacoli alla Presenza.
E per eliminare gli ostacoli davvero, bisogna provare, provare, provare in continuazione. Il fallimento è parte del percorso. Possiamo fare il lavoro solo se siamo disposti a fallire, cadere e rialzarci.
Quando nel Paradiso Dante descrive la rosa dei beati dice una cosa che mi è sempre rimasta impressa.
Lui chiede se i beati non siano scontenti di essere più o meno vicino a Dio e gli viene risposto di no, perché ciascuno ha una visione di Dio proporzionale al suo desiderio e per questo è beato.
Il desiderio è la chiave.
Se desideriamo la Presenza, il fallimento non è che una nuova occasione di uscire dal sonno.
Comentários