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Immagine del redattoreIl Ricordo di Sé

Perché 'sonno', perché 'macchina'

Così Ouspensky riporta le parole di Gurdjieff sul sonno:

“Per comprendere quale è la differenza tra gli stati di coscienza bisogna tornare al primo stato, che è il sonno. Questo è uno stato di coscienza interamente soggettivo. L’uomo è immerso nei suoi sogni, poco importa che ne conservi o meno il ricordo. Anche se qualche impressione reale raggiunge il dormiente, come suoni, voci, calore, freddo, sensazione del proprio corpo, esse non risvegliano in lui che immagini soggettive fantastiche. Poi l’uomo si sveglia. A prima vista, questo è uno stato di coscienza completamente diverso. Egli può muoversi, parlare con altre persone, fare dei progetti, vedere dei pericoli, evitarli, e così di seguito. Sarebbe ragionevole pensare che si trovi in una situazione migliore di quando era addormentato. Ma se vediamo le cose un po’ più a fondo, se gettiamo uno sguardo sul suo mondo interiore, sui suoi pensieri, sulle cause delle sue azioni, comprendiamo che egli è pressoché nello stesso stato in cui era quando dormiva. E anche peggio, poiché nel sonno egli è passivo, cioè non può fare nulla. Nello stato di veglia, al contrario, egli può agire continuamente e i risultati delle sue azioni si ripercuoteranno su di lui e sulle persone attorno a lui. Eppure, non si ricorda di se stesso. Egli è una macchina, tutto gli succede. Egli non può arrestare il flusso dei suoi pensieri, non può controllare la sua immaginazione, le sue emozioni, la sua attenzione. Vive in un mondo soggettivo di ‘amo’, ‘non amo’, ‘mi piace’, ‘non mi piace’, ‘ho voglia’, ‘non ho voglia’, cioè in un mondo fatto di ciò che crede di amare o non amare, di desiderare o non desiderare. Non vede il mondo reale. Esso gli è nascosto dal muro della sua immaginazione. Egli vive nel sonno. Dorme. Quello che chiama la sua ‘coscienza lucida’ non è che sonno, e un sonno molto più pericoloso del suo sonno, la notte, nel suo letto."

Alcuni non avranno mai sentito di questa idea, dei cosiddetti ‘quattro stati di coscienza.’

Altri, la conosceranno perché ne hanno letto.

Altri ancora, avranno a un certo punto verificato, magari con orrore, che è esattamente così.

Infine, ci saranno persone che hanno provato a cambiare le cose. Da soli, o con un gruppo. Leggendo, facendo esercizi letti o consigliati o inventati.

Da quando ho iniziato a scrivere questo post - a ricopiare pazientemente la bella pagina di ‘Frammenti di un insegnamento sconosciuto’, ho provato a tenere l’attenzione divisa. A far sì che qualcosa fosse permanentemente acceso mentre le mie dita digitavano, il mio cervello elaborava.

Sono state necessarie interruzioni, trucchi. È stato necessario mettere in campo il centro emozionale, ricordare a me stesso quanto tutto questo sia importante. È stato necessario mantenere attivo una sorta di radar, che ogni pochi secondi mi avvertiva se l’attenzione rischiava di incrinarsi.

Sono oltre trent’anni che faccio questo. Oltre quaranta, se si considerano gli anni in cui ho tentato, seriamente, da solo. Eppure rimane ancora estremamente difficile. Ma possibile.

Alla fine, la differenza tra gli individui è marcata dall’intensità con cui uno si pone la domanda che segue nel libro, poche righe dopo:

“Come svegliarsi? Come sfuggire a questo sonno? Queste domande sono le più importanti, le più vitali che un uomo si possa porre.”

Già. Ma proprio a causa del sonno, ciò che ci sembra così importante e imprescindibile e drammaticamente urgente in questo secondo, viene dimenticato, o annacquato, o mescolato con una lunga serie di ‘sì, ma, ‘OK, ma a queste condizioni…’, e il tentativo evapora.

Siamo addormentati. Davvero. Nel modo più letterale. Avere un istante nella vita in cui si realizza pienamente questa semplice verità che praticamente nessuno considera, e seguitare a ricordarlo, può segnare l’inizio della nostra buona fortuna.

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