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Immagine del redattoreIl Ricordo di Sé

Qual è lo scopo del lavoro su di sé?


Prendo come spunto questa domanda di un partecipante a un recente incontro aperto organizzato dagli amministratori di questa pagina.


Si tratta di una domanda che apre a diversi piani di comprensione, quindi, anche se una risposta è stata data durante l'incontro, offro altri spunti di riflessione, invitando a ricordare che le parole non sono destinazioni, ma suoni che utilizziamo per evocare, o per arrivare a uno spazio in qualche modo piu condiviso. Parte del nostro sonno è dato dal pensare che le parole rappresentino la realtà.


Invito a considerare l'idea che in definitiva non sappiamo quale sia lo scopo del lavoro su di sé. O meglio, come per qualsiasi altra cosa, lo sappiamo nella misura in cui la coscienza si espande. La comprensione varia con il variare dello stato di consapevolezza. A parte il fluttuare del nostro stato, che cambia la nostra percezione della realtà, se penso alla mia comprensione del lavoro su me stesso che avevo vent'anni fa, non c'è dubbio che ad oggi qualcosa è cambiato, o si è addirittura capovolto. La comprensione dello scopo del lavoro che ha il mio maestro è probabilmente distante dalla mia così come la comprensione del mondo di un genitore lo è in confronto a quella di un bambino.


Da un certo punto di vista il lavoro su di sé è fine a sé stesso, ossia consiste nel cercare di essere un po' piu consapevoli rispetto a dove siamo, momento per momento. La domanda potrebbe allora trasformarsi in 'voglio essere più consapevole? Perché voglio essere più consapevole?'


Rifacendosi alle basi della Quarta Via, il lavoro è per conoscere e riequilibrare la macchina individuale, oltre a limitare le falle che fanno perdere energia necessaria per accendere stati più alti, come immaginazione, identificazione ed emozioni negative. Tutto questo permette di creare lo spazio necessario affinché i centri superiori possano esistere. A questo punto, anche se il lavoro continua sui centri inferiori, come mantenimento di un certo ordine (qui entra il ruolo del maggiordomo), quando il nostro senso di identità si sposta nei centri superiori, la parola 'lavoro' perde efficacia, trasformandosi in un desiderio, o una necessità di esistere della consapevolezza stessa. Potremmo dire che il Sé gioisce nell' essere.

È questo lo scopo del lavoro? Fino a un certo punto.


Allargando il cerchio, anche la parola 'Sé' diventa restrittiva, visto che potrebbe mantenerci legati a qualcosa di ancora personale, seppure in un senso più elevato, ma ancora una identità. Un percorso spirituale è un processo di sparizione, un morire a sé stessi per far parte di qualcosa di sempre più grande. In questo senso il lavoro rimane un viaggio, più che un percorso con un traguardo e un premio.


Il confluire della 'propria' coscienza in una coscienza superiore si esprime in una aumentata capacità e volontà di servire. Tutto nell'universo è al servizio di qualcos'altro, volente o nolente: la possibilità è servire - consapevolmente - l'ottava ascendente del raggio di creazione, o - inconsapevolmente - la sua ottava discendente.


In una scuola gli studenti hanno la possibilità di servire gli scopi della scuola e del maestro. Quest'ultimo a sua volta è un servitore ancora più consapevole dell'Influenza C e del raggio di Creazione. Il lavoro su di sé, su una scala molto grande, ha probabilmente lo scopo di assecondare sempre di più la volontà dell'Assoluto. Questo è abbastanza teorico, ma per qualcuno, in certi momenti, potrebbe accendere il centro emozionale, rendendo i propri sforzi quotidiani più gioiosi, e noi stessi grati di fare parte di questa miracolosa creazione.

Il poeta Giuseppe Ungaretti scrisse meravigliosamente, "Qui, mi sono riconosciuto una docile fibra dell'universo."

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