“Il prossimo fine settimana andrò a un ritiro in cui si apprende a ritrovare se stessi e ad essere nel qui e ora.”
Se considero la cosa oggettivamente, il ‘qui e ora’ del prossimo fine settimana è un ‘lì e allora’. Cosa ne faccio dello spazio da questo momento a quel momento, quei giorni, ore, minuti, attimi? Mi interessa essere qui e ora - davvero qui, davvero ora?
Il mio qui e ora è un mattino freddo in compagnia di un caffè. Scrivere questo post prima di buttarmi in autostrada per incontrare un cliente. Luce che si fa strada dalla finestra. Il corpo in un’insolita tensione dovuta alla fase di luna piena, al molto viaggiare. Il mio qui e ora è questa frase che sto scrivendo, non altro. È soltanto a questo che posso essere presente.
L’ho già scritto, lo so: diverse volte. Ma non posso fare a meno di osservare il grande numero di persone che invece si concentra sul lontano, sul futuro, sullo straordinario. I tentativi di presenza più proficui sono quelli in relazione con le piccolissime azioni quotidiane. Se non sono presente adesso al mio gomito appoggiato al tavolo freddo, come posso illudermi di acquisire poteri straordinari?
Qualcuno si domandò se c’è vita prima della morte. Possiamo ugualmente domandarci, sempre, se c’è vita prima dell’incontro con quella persona, prima della cena importante, prima del viaggio atteso, prima di un evento: se c’è vita qui, ora.
Qui e ora significa proprio questo: qui. Ora. Ma nel nostro stato di immaginazione riusciamo a ignorare persino il significato di questi due inequivocabili monosillabi proprio mentre li nominiamo.
(Paradossalmente, ci si potrebbe dare l’esercizio di essere presenti quando si pronuncia la parola ora, o qui. Si scoprirà di usarla quando non si è per nulla qui, la si potrà utilizzare per tornare qui).
Eventi speciali, ritiri, incontri particolari, hanno una loro funzione. Possono imprimere una carica, come quando si fa il pieno. Ma sono elementi accessori e preparatori. Non possono diventare una dimensione parallela e sostituire la mia vita. È questa che, se non sono soddisfatto, devo cercare di modificare, o accettare. ‘Cambiare la mia vita ‘ è quello che Gurdjieff definì ‘fare’. E il fare non si riferisce a circostanze ed elementi esterni, ma a presenza e atteggiamenti. Se riusciamo a cambiare anche un solo piccolo atteggiamento, le circostanze esterne non potranno che modificarsi in conseguenza.
Appare ironica la montagna di conoscenza che a volte si deve accumulare per giungere a ciò che un bambino piccolo sa fare senza sforzo: essere genuinamente, interamente interessati al qui, ora. Al rombo di questa motocicletta, alla luce che ormai illumina la cucina dove scrivo.
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