In questi giorni mi capita di pensare a quali sono gli atteggiamenti che più mi mantengono nel sonno.
Uno di questi è l’idea di ragione e torto, e in particolare quella di avere ragione.
Questo atteggiamento comincia in modo innocente, anzi potrei dire virtuoso, con l’osservazione riguardo qualcosa che una persona ha fatto, o qualche idea che ha espresso.
L’osservazione iniziale - che potrei riassumere in: “Questa azione contiene degli elementi sbagliati, pericolosi, o ingiusti, scorrettezza, menzogna” - comincia magari come ragionata ed equilibrata, ma non finisce lì, segna l’inizio di un processo in cui la rappresentazione di un’altra persona come ‘sbagliata’ (mentre casomai, sempre che io abbia visto giusto, è l’azione a essere sbagliata, la persona è fatta di tanti io come me e come te), apre la strada a un’altra rappresentazione di me come giusto.
Questa rappresentazione di me come giusto si chiama nella quarta via ‘Ritratto immaginario’: un problema a cui nessuno sfugge.
Il ritratto immaginario di noi stessi è una complessa bugia che teniamo in piedi a tutti i costi, contro le più evidenti prove contrarie, a suon di respingenti che deformano ogni fatto finché la realtà che ci siamo inventati non ci assolve. Come una schiacciasassi, distrugge fatti e relazioni fino a creare un paesaggio interamente inventato.
Un modo per vederlo in azione è darsi questo esercizio: osservare quando sono negativo e la colpa è di qualcun altro.
Se ci pensiamo, che la colpa della nostra negatività sia di qualcun altro è profondamente impossibile. Nessun altro, in nessuna condizione, può essere responsabile del fatto che io diventi negativo. Posso discordare, essere dispiaciuto, addolorato - ma ancora mantenere uno stato in cui mi ricordo di me.
È importante qui comprendere che non essere negativi non significa approvare l’azione altrui, ma comprenderla - comprendere le leggi che la rendono necessaria; poiché se accade è necessaria. L’esempio più chiaro e nobile che mi viene al riguardo è Cristo mentre dice: “Perdona loro, perché non sanno quello che fanno.”
E perdona me stesso tutte le volte che non so quello che faccio.
In questo periodo sono particolarmente soggetto a negatività dovuta a forme di giudizio sugli altri. Il micidiale mese di agosto, con i suoi sciami di meteoriti che incoraggiano un comportamento e dei pensieri vicini alla soglia del crimine, non aiuta. Questo si deve principalmente al fatto che mi trovo in un luogo che non è quello in cui sono nato e cresciuto, è anzi profondamente diverso; nonostante abbia speso molti anni della mia vita in paesi esteri, questo è il più diverso di tutti. Non appena le mie aspettative vengono disattese (e può essere davvero qualsiasi minuzia, da una promessa non mantenuta al trovare sapore salato nel proprio succo di limone), scatta uno stato negativo, fatto di ‘io di giudizio’ che rafforzano e mantengono ben salda la sensazione che ‘io’ (ma io chi?) ho ragione.
Qualcosa in me anzi rimane in agguato come un coccodrillo nascosto nell’acqua fino a che non trova qualche elemento in cui ho ‘oggettivamente’ ragione, qualcosa in un altro che (sempre secondo i miei valori) proprio non si può difendere. (Questo ad esempio cerco quando sui social media indugio a guardare le dichiarazioni di certi politici o personaggi famosi: qualcosa di palesemente falso per cui indignarmi, o una sciocchezza talmente grande da farmi sentire immensamente superiore). E qui comincia il vero problema, dal momento che questo coccodrillo in me si sente giustificato a infuriarsi, dato che “Io ho ragione ed è colpa tua.”
Intanto lo stato, la presenza, la comprensione, gli sforzi, sono perduti e l’unica vera vittima di questa furia è la capacità di vedere oggettivamente, e ancor più la connessione con la mia anima.
Questo atteggiamento del voler avere ragione è fatto di io, la sostanza più evanescente di tutte, e per questo può essere modificato. Occorre lavoro e aiuto esterno, ma può essere fatto. Quando l’uomo numero 4 vede in se stesso un atteggiamento che incoraggia il sonno, trova il modo di liberarsene. (Se un piede ti è di inciampo, taglialo, dice la voce del Maggiordomo).
Mi viene da sorridere pensando che un paio di volte, in situazioni difficili, ho assistito nella mia scuola al suggerimento di andare a chiedere scusa a qualcuno, pur sapendo di avere ragione e che è l’altro ad essere ‘oggettivamente’ nel torto. Sebbene questa esperienza, davvero devastante emozionalmente e contenente una sana forza distruttrice del ritratto immaginario, abbia portato comunque in quei casi a grandi passi avanti nell’evoluzione di quella persona, nessuno, che io mi ricordi - o forse solo uno - è riuscito in questa impresa straziante, tanto siamo tutti disperatamente aggrappati a questa idea di essere nel giusto, irreale come qualsiasi cosa appartenga al mondo delle idee soggettive.
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