Rainer Maria Rilke era un grande poeta e un uomo conscio. Possedeva un enorme esattezza: non improvvisava, non sognava, ma sapeva descrivere come uno scienziato, come un farmacista che pesi gli ingredienti per una medicina. Fu lui stesso a dire: "Detesto l’approssimazione.". Tuttavia disse anche che "Le parole delicatamente si arrestano al confine dell’indicibile." È questo il loro limite, con la parola si raggiunge soltanto l'aspetto inferiore, le cose, la realtà superiore non ne viene toccata.
Per Rilke lo scopo dell’esistenza del poeta è celebrare, cantare. Nello stupendo sonetto Un Dio lo può, dice appunto che soltanto un Dio può cantare, poiché soltanto un Dio è veramente, e noi poveri esseri umani non riusciamo poiché "Apollo non ha altari
all’incrociarsi di due vie del cuore", siamo troppo frammentati, divisi per poterlo fare. La nostra condizione umana è di essere spezzati e contraddittori e questo ci impedisce di cantare.
Un dio lo può. Ma un uomo, dimmi, come
potrà seguirlo sulla riva impari?
Discorde è il senso. Apollo non ha altari
all’incrociarsi di due vie del cuore.
Il canto che tu insegni non è brama,
non è speranza che conduci a segno.
Cantare è per te esistere. Un impegno
Facile al dio. Ma noi, noi quando siamo?
Quando astri e terra il nostro essere tocca?
O giovane, non basta se la bocca
anche ti trema di parole, ardire
nell’impeto d’amore. Ecco, si è spento.
In verità cantare è altro respiro.
È un soffio in nulla. Un calmo alito. Un vento.
Ma cos’è questo cantare?
Rilke lo dice in varie circostanze. Nelle Elegie Duinesi:
Forse noi siamo qui per dire: casa,
ponte, fonte, porta, brocca, albero da frutto, finestra, –
al più, colonna, torre… ma per dire capisci,
per dire così, come neppure le cose stesse
pensavano nell’intimo d’essere.
Per avvicinarci a questa prerogativa divina dobbiamo dunque accettare di cambiare. Anzi, di essere cambiati (è questo il lavoro di scuola), farsi simili “al Dio” che lo può. Come in questo stupendo sonetto:
Ama la mutazione. T’entusiasmi la fiamma in cui ti sfugge
la cosa fervida di metamorfosi;
lo spirito ideatore che governa la terra
nello slancio della figura nulla ama quanto la svolta.
Chi nel suo stato è fisso, è ormai irrigidito;
se si crede al sicuro sotto l’ala del grigiore insensibile
da lontano una forza più dura di lui duro lo minaccia.
Ahimè -: un martello assente già s’alza per colpire!
Chi come fonte sgorga, lo fa suo la Conoscenza.
e lo guida estasiato all’opera serena
cui l’inizio è una fine, spesso, e la fine inizio.
Ogni spazio felice che percorriamo attoniti
è figlio del distacco. E, dacché che si sente alloro,
Dafne mutata vuole che tu in vento ti muti.
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