La contraddizione più ovvia in un percorso di lavoro su di sé è che più siamo svegli, più vediamo il nostro sonno e le meccaniche automatiche della nostra psicologia che ci mantengono in una prigione; meno vediamo tutto questo, pensando di essere, tutto sommato, relativamente svegli, più stiamo sognando in balia dell'immaginazione che, nello stesso modo di un sedativo, come ha scritto Ouspensky, soddisfa tutti i centri (inferiori).
Questo può essere spiazzante, perché procedendo nel tentativo di osservare se stessi si vedono sempre più immaginazione, identificazione, respingenti, emozioni negative, come se l'essere più presente peggiorasse le cose rendendoci più addormentati. In realtà è proprio il contrario: il portare luce in una stanza buia ci farà vedere il caos che prima non era visibile per l'oscurità. Da lì comincia il lavoro di mettere un po' di ordine affinché il Padrone possa essere ricevuto.
In particolare un certo livello di osservazione porta a vedere sempre di più che viviamo costantemente in una forma o un'altra di disagio: se ci osserviamo, anche in questo momento, ci sarà una certa tensione (o più di una): può essere la preoccupazione per un evento dei giorni prossimi o passati, la pioggia che ci costringe in casa, la relazione che non funziona, l'essere senza una relazione, quello che mi sta dicendo il mio interlocutore, qualcosa che non comprendo, un disagio fisico, la sensazione di fame, o di pesantezza perché ho mangiato troppo...questo costante lamento interiore esprime l'impossibilità di armonizzarsi con il presente dei quattro centri inferiori e delle loro 72 suddivisioni, ognuna delle quali reagisce agli stimoli che si presentano.
Il risveglio, in una prima e fondamentale fase è quindi un risveglio graduale alla situazione drammatica in cui ci troviamo. Senza questa fase non arriveremmo al desiderio di separarsi dalla macchina, di cominciare a sentire che "Io non sono quello", e di cercare di porre la propria identità nel nostro Sé, ciò che osserva, questa entità misteriosa ed invisibile a cui si riferisce il monito 'Conosci te stesso'.
Quest'ultima è una fase più avanzata, sinonimo di un centro magnetico molto maturo o di un osservatore nei sui vari livelli, anche se, mancando di unità, rimbalzeremo tra i vari gradi di una fase e dell'altra.
Fino ad allora, o comunque nei nostri periodi di sonno, cercheremo prevalentemente soluzioni al livello della macchina: un lavoro migliore, una relazione più soddisfacente, un cibo più buono, una dieta che mi renda più orgoglioso del mio aspetto fisico, un libro che mi darà la risposta, un momento migliore di quello che sto vivendo e che non dovrebbe essere così. Certo non c'è nulla di sbagliato nel voler vivere bene, e la presenza si può davvero sovrapporre a tutto, anzi renderà ogni esperienza molto più profonda. Il rischio è (per me lo è stato) che per un certo tempo il percorso spirituale possa non essere il fine in sé, ma venga intrapreso per migliorare la nostra vita.
Possiamo dire che tutti cerchiamo la felicità - dalla persona più semplice che non si è mai posta una domanda sul senso della vita all'esperto viaggiatore esoterico - solo che ognuno le dà nomi diversi: per qualcuno sarà il vincere alla lotteria, per altri trovare un amore, per altri ancora un'estasi mistica. O - parafrasando Meister Eckhart - tutti (o tutto) cercano Dio, e lo scopo di ognuna delle soluzioni che ci 'migliora la situazione', sia nel macro che nel micro, è quello di fallire, per farci comprendere che la soluzione reale sta su un'altro livello. Persino il desiderio di risvegliarsi deve fallire perché non diventi un ostacolo al risveglio stesso.
Da una antica preghiera:
"Comincia a cercare, e a scavare nel tuo campo per trovare la perla dell'eternità che vi è nascosta. E quando la trovi saprai che tutto quello che hai venduto, che hai dato via per essa, è un misero nulla, una bollicina sull'acqua".
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