Sonno e risveglio
- Il Ricordo di Sé
- 31 gen
- Tempo di lettura: 3 min

Due metafore ricorrono in molte tradizioni antiche e moderne, orientali e occidentali: quella dell’innamoramento (per l’Amata, quello che nella quarta via viene chiamato i Centri Superiori); e quella del risveglio.
Entrambi i modelli sono terribilmente esatti.
Proprio come quando ci alziamo da letto, esiste un processo per cui inizialmente soltanto una piccola scintilla si è svegliata e cerca di contagiare le molte parti in noi per convincerci a sederci sul letto, poi alzarci in piedi; a focalizzarci sul luogo dove ci troviamo e subito andare a cercare supporti esterni che favoriranno il processo di risveglio: lavarsi, caffè, un po’ di ginnastica…
Ouspensky rimarcò che ogni nuovo potere appare prima per brevissimi sprazzi, per passare poi a momenti più lunghi e più frequenti, per diventare infine permanente. Un corollario di questo processo è che una lunga serie di ciò che verrà percepito come errori e fallimenti sarà necessaria - il già citato processo di aprire molte porte finché una sarà quella giusta; di frugare in molte tasche finché le chiavi appaiono. In quel senso non si tratta quindi di errori o fallimenti, ma del percorso stesso. Non c’è nulla di strano o sbagliato nell’avere difficoltà a passare da una marcia all’altra mentre si è a scuola guida, o a barcollare e cadere mentre si impara a camminare.
La nostra parte è sviluppare un senso di quali sono di volta in volta le pratiche giuste, ed avere il coraggio e la costanza di applicarle.
Se falliamo, significa che il processo del nostro sonno è ancora in uno stadio profondo rispetto a quell’aspetto. La soluzione è: ritentare e raffinare il tentativo. (Il disappunto, il giudicare se stessi, lo scoramento per aver fallito, la sensazione che non se ne verrà mai a capo non sono che altre forme di sonno, da lasciar cadere non appena le notiamo in noi stessi, sono tigri di carta che possono essere tranquillamente appallottolate e gettate).
Se dimentichiamo, significa che la forma attuale del nostro sonno si presenta come mancanza di unità e motivazione. Per la mancanza di unità possiamo temporaneamente appoggiarci a elementi esterni, come determinati esercizi che ci vengono suggeriti. (Non mi stancherò mai di sottolineare che la natura di questi esercizi è contingente, ‘usa e getta’ diciamo: un determinato esercizio va bene per me ora, e funziona finché funziona, dopodiché va prontamente abbandonato, affinché la mia personalità non si costruisca attorno a delle azioni o pratiche).
Per la mancanza di motivazione occorre sviluppare quello che nella nostra scuola viene chiamato il Re di Cuori. Occorre sorvegliare le proprie espressioni di negatività; quelle più infuocate come quelle sottili e poco visibili. Salvaguardare le impressioni che ci raggiungono quotidianamente. Meno spazzatura, più arte. Leggere una poesia al mattino; visitare musei; tenere una riproduzione accanto allo schermo del computer mentre si lavora; tenere dei fiori freschi in casa; cercare di circondarsi di oggetti belli che ci diano una motivazione (una terza forza) per essere presenti ad essi; ricercare compagnie che innalzano; tentare insomma di nobilitare la propria vita.
Essere attenti alla qualità della voce dei poeti e dei musicisti e pittori e scrittori che lasciano un segno nella nostra anima. Dovrebbero essere uomini consci, risvegliati, affinché possano guidarci nel processo di risveglio a nostra volta. Qualche nome: Saffo, Omero, Rilke, Whitman, Dante, Petrarca, Hafez, Omar Khayyam, Beato Angelico, Leonardo, Rembrandt, Epitteto, Marco Aurelio, Ouspensky, Gurdjieff, Rodney Collin, Robert Earl Burton, Bach, Vivaldi.
Occorre aiuto esterno. Per ricorrere ad aiuto esterno, spesso bisogna passare per la scomoda strettoia che ci porta a concludere: “Da solo non ce la faccio.” Questo viene di solito dopo qualche grande delusione o fallimento, dimostrando la necessità di tali delusioni e fallimenti.
Ouspensky:
D. Il ricordare se stesso è il processo iniziale di questo sistema?
R. È il centro del processo iniziale, e deve procedere, deve entrare in ogni cosa. Da principio vi sembra improbabile, in quanto potete provare a ricordare voi stessi e poi accorgervi che per lunghi periodi di tempo ciò non vi viene a mente; poi di nuovo cominciate a ricordarlo.
Ma sforzi di questo genere non sono mai perduti; qualcosa si accumula e ad un certo momento, allorché nello stato ordinario sareste stati compietamente identificati con le cose e sommersi in esse, scoprirete di poter tenervi da parte e controllare voi stessi. Non saprete mai quando ciò sarà e come accade.
Dovete fare soltanto ciò che potete: osservare voi stessi, studiare e principalmente cercare di ricordare voi stessi; poi, a un certo momento, vedrete i risultati.
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