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Immagine del redattoreIl Ricordo di Sé

Spostare poltrone, sistemare tavolini

Qualche giorno fa mi trovavo in attesa di una cena col mio maestro. Sedevo su un divano quando l’ho visto entrare nella stanza. Si è guardato intorno, poi sembrava aver notato qualcosa, si è fermato. Si è avvicinato a una delle poltroncine davanti a me e l’ha spostata. Poi l’altra poltroncina che stava di fronte. Poi il tavolino tra le due poltrone. E un divano. E altre due poltrone. Qualcuno, incaricato di sistemare il tutto, si era dimenticato di farlo o non ne aveva avuto la possibilità. Lui ha colto l’occasione per migliorare l’aspetto della stanza, aumentare il livello delle impressioni, colmare un’ottava che si era evidentemente arrestata a un intervallo, utilizzato l’innalzamento della cosiddetta ‘alchimia del momento’ allo scopo di riflettere esternamente uno stato interiore alto (o, in altri casi, di cercare di arrivare a uno stato interiore alto attraverso l’uso di intenzionalità e bellezza).

Inizialmente ho valutato l’idea di aiutare quest’uomo anziano, ma non sapevo quale fosse la posizione intesa dei vari oggetti. Sono rimasto a guardare, perlomeno finché non è stato il momento di spostare anche il divano in cui stavo comodamente spaparanzato.

Avrei potuto (avrei dovuto) aiutarlo. Avrei potuto notare l’asimmetria degli oggetti, come lui ha fatto. Avrei potuto prendere a cuore l’ordine e la disposizione armonica e intenzionale, come lui ha fatto.

A mia difesa ho delle scuse solidissime: ero in jet-lag, e ogni giorno verso quell’ora cominciavo a scivolare verso uno stato di intorpidimento. La mia macchina appartiene al tipo venusiano (chi non sappia cosa dico può ricercare ‘tipi umani’ in questo gruppo); ed è molto meccanico per me, appena subentra un momento di stanchezza, entrare in uno stato di quiete passiva che diventa quasi torpore. Inoltre il mio centro di gravità è istintivo - la macchina cerca costantemente di risparmiare energia ed è ben contenta non appena può entrare in stand-by.

Sono anche uno studente di quarta via, da molti anni. Dovrei avere sviluppato ciò che viene chiamato un Maggiordomo. In poche parole, un Maggiordomo corrisponde a un ‘centro di gravità permanente’ che prende decisioni e compie azioni dal punto di vista del lavoro su di sé e non del centro di gravità meccanico. Da questo punto di vista, ho fallito.

Evidentemente il mio Maggiordomo non è ancora completo, in quanto è bastato un po’ di jet-lag, un po’ di stanchezza, per farmi obbedire alla macchina invece che al mio desiderio di lavoro. La sentinella in me ha avuto un colpo di sonno.

Mi viene in mente qualcosa che Rodney Collin scrisse e che cito a memoria, scusate le imprecisioni: Il lavoro è lavoro, e alla fine ciò che conta è chi eseguirà il compito. La squisitezza della scusa non è presa in considerazione.

Le mie squisite scuse non contano di fronte al fatto oggettivo che non ho agito quando avrei potuto.

Mi è venuto in mente che, come sempre, un singolo istante della nostra vita, se osservato oggettivamente, ci descrive in modo completo. Se anche il mio maestro non mi avesse mai incontrato prima di quel momento, gli sarebbe comunque stato evidente: “Questo è un tipo venusiano, centrato istintivamente. Per questo non mi aiuta.”

Mi sono identificato con la mia mancanza? Per fortuna, no. Pur ripromettendomi di agire diversamente in futuro, ho scelto di essere presente, piuttosto che dispiaciuto per uno dei tanti errori che mi capita di commettere ogni giorno, ogni ora. Sia il mio maestro che io, dopo pochi istanti, siamo entrati nella sala da pranzo e abbiamo avuto una bellissima cena, piena di gioia, amore e presenza. Una delle frasi che lui ha citato suonava più o meno così: “La nostra gloria non sta nel non cadere mai, ma nel rialzarsi prontamente a ogni caduta.”

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