Ci è stata fatta recentemente da Rosy una domanda che mi piace. Viene da un tentativo pratico, che le ha posto dei dubbi. Rispondere a una esperienza provata è possibile; non così a una immaginata (analogamente, chi ha provato il ricordo di sé leggerà questo post in un modo; chi non ha mai provato, in un altro). Riporto la domanda.
“Mi alzo e mi ricordo di me. Mentre preparo il caffè odo gli uccelli, li sento operosi. I micetti. Gli aromi. Sento che cerco di contrarre il muscolo che non sapevo di avere sopra il cervelletto, come quando cerchi di muovere l'orecchio. Mi rilasso perché questo mi serra le mascelle da dietro. Sono in presenza. Ora, qui la domanda... Il flusso di pensieri che riguardano l’organizzazione della quotidianità, consapevoli perché in contemporanea ci si ricorda della presenza, è immaginazione? È la consapevolezza a fare la differenza? Oppure è il qui e ora? Inoltre, ma so già la risposta, tutto qui?”
Rosy si alza, cerca di dividere l’attenzione durante le comuni azioni della giornata. Dice ‘sono in presenza’. Ovvero, ha raggiunto un grado di separazione, non è più tutta nelle cose che fa. È spuntato qualcos’altro, che osserva. Diciamo che rimanga in questo stato per un minuto. Durante questo minuto, tantissimi ‘io’ continuano ad affacciarsi. “Apri lo sportello, prendi il caffè.” “Oggi, questa tazzina.” “Il caffè sta finendo, devo comprarlo”. “Quant’è dura da svitare sta caffettiera.” “Ma chi l’ha chiusa, così stretta? Dev’essere stato Marco, ieri sera.” “Marco proprio non conosce la moderazione, è esagerato in tutto.” “Il gatto ha fame.” “Canto di uccelli.” “Finestra, luce.” “Ecco i passeri, si muovono tra i rami.” “Forse pioverà.” “ Questo muscolo si sta contraendo.” “Ma guarda, sono davvero più sveglia del solito.” E così via. Molti di questi ‘io’ non sono nemmeno esprimibili a parole. Percepire la temperatura della stanza, vedere il dorso della propria mano mentre si apre uno sportello, apprezzare il movimento sinuoso di un gatto che cammina, sentire la relazione emozionale di affetto che ci lega all’animale, avere fame, camminare, sono tutti ‘io’.
Gli ‘io’ che ho elencato appartengono a due distinte categorie. - I primi sono immaginazione, tendono a portarmi via dal momento: “Marco proprio non conosce la moderazione, è esagerato in tutto.” Se seguo questo io mi ritrovo per un sentiero che non ha più niente a che fare col dove sono e cosa sto facendo. Il lavoro da fare è abbandonarli, e tornare alle cose del presente. - I secondi appartengono al qui e ora: “Canto di uccelli.” “Questo muscolo si sta contraendo.” Sono ‘io’, quindi meccanici. Però sono relativi a ciò che sta davanti a me, a ciò che sto facendo - quindi non sono immaginazione. In questo secondo caso il lavoro è ‘planare’ da un ‘io’ all’altro, mantenendo questo distacco, non lasciando che nessun io prenda troppo spazio, rimanga troppo a lungo, generi troppe associazioni, mi faccia ricadere nell’immaginazione. La macchina deve funzionare. Mi devo preparare un caffè. Nel giusto ordine delle cose, il vero Io ha la consapevolezza di ciò che accade, mentre gli io meccanici si occupano delle cose meccaniche: l centro motorio svita la caffettiera, mentre Io sono presente. La differenza la fa la consapevolezza che Io sto osservando quello che la macchina fa. Ma non sono la macchina.
“Tutto qui?” Chiede Rosy. No.
Definito solamente come separazione dagli ‘io’, lo stato di presenza rischia di sembrare un giochetto fine a se stesso un passatempo - un po’ scomodo, se vogliamo. Un esercizio che non porta a nulla.
Da una parte bisogna considerare che la presenza ha tantissimi gradi di intensità - così come il secondo stato può variare da quando sono appena sveglio e barcollo verso il caffè sbadigliando, a una estrema concentrazione mentre suono uno strumento musicale. Il terzo stato può essere vicino al secondo, o vicino al quarto - o innumerevoli gradi in mezzo a questi due. Inoltre la presenza può variare da uno stato non identificato molto tranquillo, quotidiano e neutrale, a stati intensissimi, emozionali, vissuti come meravigliosi o anche difficili da sostenere. Diciamo però che se uno sente di essere presente, per il discorso che stiamo facendo, è presente. È più presente rispetto a prima.
Se ci pensiamo, però, prima di essere presente, nello stato di identificazione io ‘sono’ la caffettiera, il gatto. ‘Sono’ i miei ‘io’. O meglio, sono nell’illusione di essere quello. Quando sono presente accade qualcosa di stravolgente: scopro di essere un’altra cosa. Mi viene rivelata la mia vera identità. Cosa succederà se riesco a trascorrere quindici, trenta, sessanta minuti, una giornata, in uno stato di presenza? Difficile parlarne senza stimolare l’immaginazione. Userò allora le parole di Cristo, che nel vangelo apocrifo di Tommaso, dice: "Conosci ciò che ti sta davanti, e ciò che ti è nascosto ti verrà rivelato”.
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