Uno stile di vita consapevole
- Il Ricordo di Sé
- 23 mar
- Tempo di lettura: 4 min

Il bellissimo viaggio attraverso l’India che sto facendo con Giacomo e una studentessa indiana si avvia al termine. Da diversi giorni la mia attenzione è catturata dalle differenze. Da molti tipi di differenze: quella tra indiani e non indiani, ad esempio.
Quella tra le diverse sensibilità estetiche - cosa si trova bello e cosa ridicolo, o di ‘cattivo gusto.’ Quanto è ‘Troppo piccante’, ‘Piccante il giusto’, ‘Non abbastanza piccante’. Tra le stagioni europee e quelle asiatiche. Tra il pastore indiano in essenza e il turista occidentale in personalità. Tra ciò che qui è permesso agli uomini e ciò che è consentito alle donne. Tra chi ha un portafogli in tasca e chi si arrangia ogni giorno a trovare qualcosa da mangiare e un angolino dove buttarsi a dormire. Persino il pensiero logico, sto cominciando a capire, non è realmente universale, ma fortemente condizionato dalla cultura di appartenenza.
La differenza più significativa che osservo è quella tra noi tre e chi ci sta attorno - tra studenti e non studenti. Ho cercato di osservare neutralmente le differenze di comportamento rispetto a chi ci circonda, che siano abitanti dei luoghi che visitiamo, o turisti, viaggiatori, occidentali che risiedono qui.
Una prima osservazione è che siamo più lenti. Nei musei, nei templi, gli altri visitatori ci sorpassano. Troviamo più cose da vedere, più ragioni per soffermarci ancora un po’ a godere di una statua, di un dettaglio architettonico, di un uccello che si tuffa per catturare un pesce.
La distrazione è una debolezza inerente alla natura umana. Ho osservato più volte durante il viaggio persone che riuscivano a ‘non essere qui’ persino davanti alla più maestosa delle impressioni, tanta è l’abitudine umana a dimorare nell’immaginazione. All’interno del Taj Mahal, per esempio, dietro di noi c’erano quattro o cinque signore di nazionalità britannica; tutte le volte che mi giravo verso di loro, non guardavano nulla, hanno attraversato tutto l'ambiente senza gettare uno sguardo - continuavano a parlare eccitate di altre persone “Ma io non lo sapevo proprio che Dorothy si è sposata”… Ieri, in uno dei maestosi templi che abbiamo visitato, ci siamo messi in fila per una cerimonia in cui l’officiante appoggiava qualcosa che sembra cenere sulla fronte dei partecipanti. Ho visto una giovane donna, da sola, che subito dopo aver ricevuto questo segno, si è seduta sui gradini del tempio a guardare qualche video su Instagram, ridendo divertita. Nulla di male, da un certo punto di vista: una tragedia, da un altro.
Un’altra, che parliamo meno. Una terza, che siamo meno agitati. Un’altra ancora che, con alterni successi, cerchiamo di affrontare le difficoltà senza negatività. Infine, che per noi non ci sono momenti insignificanti, ma ogni esperienza, da quella di allacciarsi le scarpe o attraversare la strada in mezzo a un traffico infernale, guardare una magnifica statua, dare una carezza sulla testa a un vitello che passa, giunge con una consapevolezza maturata negli anni che questa è la mia vita, questo è il momento di essere presenti ad essa.
‘Accettazione’ e “Presenza’ viaggiano insieme. Non desiderare che il momento sia diverso da quello che è - è un’impresa grande.
Ci sono tre livelli di esistenza in cui un individuo può collocarsi: quello dei molti io, dove siamo trascinati dalle nostre tendenze personali; quello del Maggiordomo, del desiderio di risvegliarsi, che però opera e appartiene al dominio della vita meccanica - diciamo il livello di un prigioniero che si rende conto di essere in prigione e comincia a escogitare dei sistemi per evadere - e quelli dei Centri Superiori, della parte che, per dirla con Walt Whitman:
La gente che passa e che m’interroga,
Le persone che incontro, gli effetti su di me dei miei primi anni o del quartiere, della città, della nazione in cui vivo,
Gli avvenimenti recenti, le scoperte, le invenzioni, le società, gli autori vecchi e nuovi,
Il pranzo, gli abiti, i compagni, il bell’aspetto, i complimenti, i doveri,
L’indifferenza reale o immaginaria di qualcuno che amo,
La malattia di uno dei miei o mia, le malefatte, la perdita o la penuria di denaro, le depressioni o l’euforia,
Le battaglie, gli orrori della guerra fratricida, la febbre delle notizie dubbie, lo spasmo degli
avvenimenti,
Tutto questo mi arriva giorno e notte, e se ne va,
Separato da ciò che attira e trascina sta ciò che io sono,
Se ne sta divertito, compiacente, compassionevole, inattivo, unitario,
Guarda dall’alto, è eretto, o appoggia un braccio a un impalpabile sicuro sostegno,
Con la testa piegata di lato, curioso di ciò che verrà dopo,
Dentro e fuori dal gioco, osservandolo e meravigliandosi.
Ripenso ai giorni passati quando mi affaticavo nella nebbia con linguisti e dialettici,
Non ho battute o argomenti, io testimonio e attendo.
Uno stile di vita consapevole vuole dire vivere nei Centri Superiori e, quando questo gioco di prestigio non riesce, nel Maggiordomo. Questo stile è fatto dell’applicazione costante di tutto quello che si è rivelato utile al risveglio o anche semplicemente a una maggiore attenzione; e allo sviluppo del senso del Sé: riconoscere cosa è, cosa lo favorisce, riuscire a visitare questo stato e a indugiare in esso. Non esistono vie di mezzo: se lo stile di vita non è consapevole, è meccanico. Se la corrente non scorre in una direzione, scorrerà in quella opposta, verso la palude del sonno, qualsiasi possano essere le nostre buone intenzioni, conoscenza, opinioni, speranze.
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