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Immagine del redattoreIl Ricordo di Sé

vanità, dominio femminile e considerazione interna

(di Vale Lama)

Sto osservando da giorni nel mio lavoro il complesso intrecciarsi di tre fattori, che sono una particolare fonte di identificazione per la macchina nel confronto con gli altri, la famiglia, le amicizie, il lavoro, la società.

I tre fattori sono:

- la vanità, che dopo diversi anni nella scuola ho compreso essere la mia caratteristica principale, ovvero l’atteggiamento fondamentale che abbiamo verso noi stessi e il mondo. Questo vale anche per la maggior parte di voi. Se non è la prima, la vanità è al massimo la seconda caratteristica.

- il dominio femminile, la legge che guida il nostro comportamento sociale, formata dalle buone maniere che normalmente un bambino impara dalla mamma. Anche a questa legge è molto difficile sottrarsi su vari livelli. Il maestro dice che la luna gira intorno alla terra per dominio femminile. Spesso il dominio femminile ci indicherà la cosa giusta da fare, il problema è che sarà una risposta meccanica a uno stimolo, senza consapevolezza.

- la considerazione interna, ovvero la valutazione di se stessi in base a ciò che pensano gli altri o a ciò che dovrebbero pensare secondo noi. L’ alternativa alla considerazione interna è sostituirla con la considerazione esterna, ma ciò non accade meccanicamente. Dobbiamo essere presenti.

In modi diversi, queste tre forme di identificazione determinano la relazione tra noi e gli altri. Spesso agiscono insieme e possono condizionare così tanto il nostro comportamento verso le altre persone da renderci pressochè impossibile essere noi stessi. Il lavoro è l’unica possibilità che abbiamo di sfuggire alla presa.

Oggi sono stata brava in ufficio a fare determinate cose. E subito la vanità si nutre di quell’energia, prendendo spazio e letteralmente mangiando la presenza. Se osservate attentamente, potete vedere la dinamica di causa effetto tra una cosa che vi è riuscita bene, un bel voto, un complimento, una buona risposta, e il flusso di idrogeni che si sprigiona; se continuate a osservare coglierete in flagrante la caratteristica di vanità che arriva a mangiarli.

Appena me ne accorgo, uso gli io di lavoro BE (sii presente) o CHILD (sii in essenza); mi separo dal bisogno di riconoscimento e provo a guardare la situazione con altri occhi, togliendo ‘me’ dal centro della scena. Solo allora Io riesco davvero a esserci.

Un collega si è risentito di un’osservazione che gli ho fatto. Avevo ragione, per carità, ma forse avrei dovuto essere meno diretta. E subito il dominio femminile inizia a produrre io su come rimediare allo screzio, si prepara cose da dire, vuole spiegare e rimettere tutto a posto come dovrebbe essere.

Anche qui devo creare separazione tra la necessità della macchina di intervenire e il momento. Provo a sentire la scomodità senza respingerla. Né con le azioni né con il pensiero. Spesso utilizzo l’io di lavoro USE (usa la sofferenza volontaria) e LEAVE (lascia andare, trasforma la negatività).

Passa il capo ed esprime dei dubbi su alcuni progetti che sto seguendo. E subito la considerazione interna si insinua, non riesco più a vedere quei progetti con obiettività oppure mi arrabbio perchè penso di non meritare quelle osservazioni. Quando sentiamo il gusto della vergogna o dell’ingiustizia, possiamo essere abbastanza sicuri che la macchina stia considerando internamente. L’io di lavoro SERVE (sostituisci la considerazione interna con quella esterna) mi aiuta a guardare il quadro più ampio, togliendo il focus su cosa accada a me, per guardare qual è il bisogno del momento. Qual è l’obiettivo dei progetti che sto seguendo, quale scopo hanno, a chi sono utili, cosa potrebbe renderli più utili? Tutto questo in realtà ha poco a che fare con ‘me’.

Questa è la mia battaglia di questi giorni. Devo rispondere colpo su colpo, io di lavoro su io di identificazione. Il premio è la presenza. Essere ogni volta un po’ più presente alla mia vita.

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